Dopo essere state ferme durante la pandemia, le Darts ritornano con questo loro terzo LP, pubblicato dalla Alternative Tentacles: il disco, che arriva a distanza di quattro anni dall’uscita del precedente “I Love You But Not Like That“, è stato registrato insieme al loro collaboratore di lunga data Bob Hoag con l’aggiunta di qualche magia di produzione da parte di Jello Biafra dei Dead Kennedys, titolare della label.
Il nuovo esplosivo disco della band di Phoenix, interamente finanziato con l’aiuto dei fan, ha un suono molto più pieno rispetto al passato e vede anche il debutto della nuova batterista Mary Rose Gonzales, che sostituisce Rikki Styxx.
Questo viaggio, della durata di quasi quaranta minuti, inizia con la title-track ed è subito adrenalina pura a scorrere nelle vene di chi ascolta: ritmi serrati, linee di basso roventi, un drumming possente, riff chitarristici esaltanti e il suono della farfisa della frontwoman Nicole Laurenne che aggiunge un tocco sinistro e psichedelico al brano, mentre il coro cattura sin dal primo momento.
Non ci si ferma nemmeno un attimo perché le quattro ragazze dell’Arizona mostrano la loro aggressività anche poco dopo con “Under The Gun”, un altro eccitante pezzo garage-rock dalle ottime melodie e dalla velocità elevata, con la combo chitarra-farfisa che sa perfettamente come incendiare l’atmosfera.
Se vi aspettavate che il singolo “Love Song”, uscito proprio il giorno di San Valentino, fosse meno rumoroso, vi sbagliate proprio: la sei corde di Meliza Jackson, invece, è sempre decisa e intensa, mentre sono solo i vocals di Nicole a farsi più riflessivi.
“You Just Love Yourself”, invece, ha un’anima decisamente più calma e ci trasporta verso territori dai toni cinematici e desertici, seppure dalle tinte noir, a cui le Darts ci hanno già abituato.
Non possiamo fare a meno di citare “Intersex”, caratterizzato soprattutto dalle esaltanti linee disegnate dal basso di Christina Nunez e dal drumming potente della Gonzales: garage-punk a cui è difficile resistere.
Sinistra anche l’atmosfera della conclusiva e lunghissima (oltre sei minuti) “Bring It Back”, piena di effetti e dalle tinte psych-garage, che si conclude con una voce maschile e toni cupi.
Un altro album solido, intelligente, esaltante e pieno di adrenalina per il gruppo di Phoenix: in attesa di rivederle dal vivo a fine giugno qui in Italia, riascoltiamo volentieri questo “Snake Oil”. La promozione per loro è meritata.