I concerti come li chiamo io puliti, ossia niente di scenograficamente stravolgente e tutto lasciato invece all’aspetto musicale. Così possiamo riassumere la serata con protagonista Ichiko Aoba: semplicità e pulizia per lasciare spazio ad una delle voci più belle del nuovo millennio.
Un’Arci Bellezza completamente sold-out si è ritrovato davanti ad un palco molto semplice: due luci blu ai lati opposti, una sedia (particolarmente comoda) con uno schienale alto, una chitarra acustica, una tastiera ed infine un tavolino con sopra libri, fiori e una lampada. Il resto, o meglio il vuoto che rimaneva, veniva riempito da lei: Ichiko Aoba.
Per chi non la conoscesse rimando volentieri alla chiacchierata che ci siamo fatti, in vista proprio dei suoi live milanesi e bolognesi, per parlare non solo del suo progetto “Windswept Adan”, ma di tutto l’universo musicale e non che la circonda. Da poco è uscito anche un album dal vivo, “Ichiko Aoba with 12 Ensemble (Live at Milton Court))”, che consiglio a tutti di recuperare per chi si fosse perso i due concerti italiani.
Tornando al live, la semplicità è stata riempita subito dalla bravura vocalica della cantautrice: in una sala totalmente in silenzio (o quasi), Ichiko si è destreggiata tra virtuosisimi alla chitarra e notevolissime ampiezze vocaliche per stregarci tutti e per portaci nel suo mondo fatto di sogni e solitudine. Poche e semplici parole di benvenuto in italiano e poi in inglese, qualche spezzata frase in giapponese tra una canzone e l’altra, e tanta tanta musica come si deve.
“Sagu Palm’s Song”, “Dawn In The Adan”, “Asleep Among Endives” sono solo alcune delle canzoni che ha portato al pubblico italiano: un live durato un’ora e dieci, poco forse per gli standard a cui noi siamo abituati, ma che ha saputo trasportarci come si deve senza stancarci.
Ci sono stati due momenti speciali da ricordare: il primo l’omaggio al dipartito Sakamoto con “Koko”, dove si vedeva come l’artista fosse particolarmente legata al grande maestro, e poi una canzone ineditaintrodotta solamente dalla domanda “vi piace Ponyo dello studio Ghibli?”.
Bisogna anche ricordare la bravura tecnica che ci ha dimostrato durante “Kikaijikake no Uchuu”, penultima canzone della setlist, che letteralmente ha strappato un paio di minuti di applausi così tanto calorosi dal farla sorridere troppo probabilmente per i suoi standard. Proprio durante questo brano si è vista l’abilità manuale della cantante con la sua chitarra: una simbiosi tra il corpo, lo strumento, la voce e la mente da far accapponare la pelle.
Per un’ora e dieci ogni singola persona dentro all’Arci ha vagato per vasti spazi grazie alla sua musica e alla sua voce, facendosi non solo trasportare fisicamente (il corpo rilassato e abbandonato) ma anche mentalmente in quello che è il suo universo. Ichiko Aoba per molti non dirà niente, ma sono sicuro che in un paio d’anni ne sentiremo parlare ancora. La sua scalata nel panorama musicale occidentale è già in atto e per quello che ho visto e sentito si merita ogni palcoscenico possibile.