Alla fine con gli EBTG è sempre un pò tutto relativo, relativa è la distanza che ci separa dai 20 e passa anni del precedente lavoro, relativo è il vuoto lasciato della voce di Tracy Thorn, relativa è l’assenza del calore del writing di Ben Watt, relativo è quanto ci sono mancati in tutto questo tempo, perchè a queste domande probabilmente non ci sono delle vere risposte in quanto la connessione col mood di questa eterna band sin dai tempi di “Eden” si è sempre tenuta vitale lungo un sottile ma inscalfibile filo che unisce come nelle amicizie vere, in uno spazio sempre aperto e mai chiuso, animato nel tempo dalle continue digressioni soliste, da interviste, da apparizioni che hanno permesso a questo idillio di continuare indisturbato senza neanche bisogno di chissà quale sforzo.
Evidentemente il duo britannico ha deciso che in questa tarda primavera 2023 fosse il momento giusto per riapparire sulle scene dopo una pandemia che ha profondamente alterato i canoni delle attese alle nostre esigenze introspettive, per quindi fissare su un pugno di canzoni la nuova essenza della band , in un album che fonde l’estetica del gruppo con la nuova dimensione di due ormai increduli sessantenni, nel rinnovato tentativo di inseguire il lusso della ricerca di emozioni, di cogliere il senso dei momenti infiniti nella debordante e infinita quotidianità (“All the stars align/Shimmer and shine/I’ve waited all my life/For such a night/Out here in the dark/a cloud across the stars/The sky is a cathedral/And I’m home” in “Caution to the wind”)
“Fuse” assembla questa urgenza comunicativa con un linguaggio musicale mai banale pur molto meno articolato degli esordi, più leggero e forse minimale, al solito raffinato e capace di bilanciare i diversi generi trattati, con un’elettronica che nei momenti dance comunica stile anni 80 con un gusto noto e dosato di linee di synth e pacati ritmi, perfette strutture dove far spaziare la sempre più calda voce della Thorn che nel tempo ha forse perso un pò di quella smaccata sensibilità adolescenziale a favore di una maggiore profondità black di invariata empatia; canzoni come “Nothing left to lose”, “Caution to the wind” e “No one knows we’re dancing”, riallacciano e attualizzano tutto l’immaginario post “Missing”, riportandoci ad una felice stagione di un pop contagioso, dove il groove ancora serve a smarcarsi dalla celata malinconia dei brani, a iniettare vibrazioni fisiche che pareggino la delicatezza interiore toccata nei testi.
Ci sono ovviamente anche le influenze di ascolti di questi 20 anni di assenza dentro queste nuove canzoni, come non sentire le atmosfere liquide di Yorke e soci in “Run a red light” assieme a molte altre cose sparse qui e là, da repertorio Radiohead da “Amnesiac” in poi, come anche certi giochetti di intarsio digitale alla Bon Iver di “When you mess up”, artisti che in parte comunque hanno giovato del lavoro degli EBTG che in periodi non sospetti iniziavano quella contaminazione di generi che porterà a quel suono post rock che fece poi la fortuna di una pletora di band e che ora ritorna all’ovile in una dimensione più moderna.
“Fuse” quini funziona, è un’adeguata e convincente fusione del nuovo corso della band di Hull, un rinnovato salto nel presente, dove la percezione del senso di perdita (“Lost”) diventa un nuovo tema che l’inevitabile scorrere del tempo non riesce a limitare, dove ancora tentare di esplorare con la consapevolezza della maggiore età l’infinito desiderio di abbracciare le emozioni, dandosi più tempo ora che si capisce che rimane la cosa più importante e più bella che ci possa succedere (“You seem so young again/I think that’s because you’re in pain/Don’t be so hard on yourself/For God’s sake have a cigarette/And don’t stop to laugh at yourself/Have another cigarette” in “When you mess up”), come se ogni momento fosse quello giusto per trovare qualcosa di buono a cui attaccarci (“Give me something I can hold on to forever“), e se lo canta Tracey, dobbiamo seguirla.