E’ di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.
TATUM RUSH, POPA, Pelle di luna
Tatum è incredibile, perché sembra avere il dono di viaggiare nel tempo e, allo stesso tempo, condensare in un singolo di musica leggeraleggerissima almeno tre decenni di canzone italiana: la ballad sorniona dei Sessanta, il funky più scatenato dei Settanta e la disco più cool degli Ottanta. Che dire? Dono della sintesi, sulle macchine e sui linguaggi usati.
BUD SPENCER BLUES ESPLOSION, Vandali/Stranidei
Un doppio singolo come Thelma & Louise, come Batman & Robin, come Cacio & Maccheroni, come Bud Spencer & Terence Hill, come – in definitiva – i Bud Spencer Blues Esplosion, che se non sono blues (nell’anima, ancor prima che nella musica), esplosivi e cinematici loro, beh… Tanta roba.
BRUCHERO’ NEI PASCOLI, Ghicci Ghicci (EP)
Alla faccia!, quella che mi si spacca a metà sotto i pugni irosissimi di un progetto che solo per il nome che ha doveva farmi capire che no, non si sarebbe trattato del solito ascolto del weekend. Un EP al tritolo che esplode in mano a chi ha la leggerezza di premere play senza essere psicologicamente preparato ad una delle invettive più accorate e finalmente sincere che sentirete in questo 2023.
DA BLONDE, Sabato Sera
Da Blonde è la cantautrice che serviva al tuo weekend – e oltre; un singolo che suggella un ritorno atteso, per una delle voci emergenti più interessanti del panorama nazionale: una scrittura d’autore che incontra la spinta giusta di una produzione di qualità, curata da Blindur, per un’alchimia che va giù bene come il primo cocktail della serata, lasciando però un velo di malinconia capace di aprire uno squarcio in mezzo al cuore. E sopratutto, uno spioncino sul pop d’autore di Da Blonde.
FRANCESCA MORETTI, Loop
Come suggerisce il titolo, non credo ci siano altri modi di ascoltare l’ultimo singolo di Francesca se non premendo play a ripetizione: una canzone che rotola come un sasso cosparso d’olio sulla superficie levigata di un arrangiamento che valorizza, slanciandola, la scrittura efficace del brano. Un ulteriore step verso la maturazione di un progetto speciale, che merita di fare strada, e ne farà.
DREA, Seattle 1.9.9.4.
Nell’attesa di scoprire chi si possa celare dietro la maschera scura della nuova scommessa di La Clinica Dischi, ci godiamo la resa pop-punk di un brano che riecheggia il grunge dei Novanta sposandolo al nuovo mainstream nostrano; c’è una punta di “old school” che non si perde, nella musica di Drea, rendendo ancor più efficace il sound moderno della produzione.
MILLEPIANI, Un bagno di stelle
Torna con un piglio ancora più esistenziale della precedente “Kraatoa”, Millepiani, che in “Un bagno di stelle” riecheggia i miti battiateschi e gucciniani della riflessione sul cosmo, partendo da una visione onirica che scatena i flussi e i flutti di un pensare mai domito né scontato, come quello al quale ci ha saputo abituare Alessandro.
CLEMENTE GUIDI, E’ che…
Forse il talento più cristallino della nuova (nuovissima!) generazione cantautorale: un ibrido riuscito fra echi di scuola d’autore e nuove frontiere vocali capaci di guardare oltralpe e oltreoceano; un’alchimia preziosa e capace di restituire alla scena nazionale qualcosa di diverso, stimolante e rassicurante sul futuro del nostro vecchissimo Belpaese.
MAURA, Tu fai di me
Mi piace molto Maura, ha un timbro che si attacca al cuore e sa scrivere canzoni che accarezzano l’anima nel modo giusto. La produzione è deliziosamente pop, nel senso gustativo del termine.
FLAME PARADE, Cannibal Dreams (album)
Un disco che s’infiamma come la benzina ed esplode come la dinamite: una tracklist densa di riferimenti alla scena rock e post-rock di fine Novanta, tutto cesellato da una mano ispiratissima come quella di Matilde Davoli. Un ottimo segnale cardiaco utile a tutta la scena alternativa nostrana.
LONTANO DA QUI, Senza fare rumore (album)
Non conoscevo il progetto, ma il loro ultimo disco vibra di energia positiva anche quando si vela di una malinconia che affonda le radici nella canzone d’autore più ispirata. Un buonissimo sound per una realtà da tenere d’occhio.
SCIANNI, Diversamente giusti
Non male il nuovo singolo di Scianni, che tira fuori dal cilindro un brano semplice, spensierato e leggerissimo, che scivola addosso come quelle prime spalmate di crema solare che inaugurano l’estate. Un po’ come il brano del cantautore.
ALIC’E’, Just It
Teatralità in musica, sempre in bilico tra cool e kitsch, quella di Alic’è: un pop che da qualche anno conferma la buona attitudine melodica di un progetto che si fa apprezzare nella pluralità delle sue forme; l’ultima pubblicazione ammicca alla disco, con un piglio piuttosto moderno. Il ritornello spicca per l’idea più che buona del gioco di parole che lo anima.
NEVRUZ, L’alieno
Beh, un alieno Nevruz lo è di sicuro, sempre pensato dalla prima volta che lo sentii cantare “Gioia e Rivoluzione” sul palco di XFactor (il me quindicenne – e anche quello attuale, un po’ più canuto e infelice – deve a lui e ad Elio la scoperta degli Area, grazie ragazzi!); la canzone pubblicata oggi è di una delicatezza (dinamitarda) incredibile, come se non appartenesse al pianeta discografico del venerdì.
MARCO BUGATTI, Amen
Come può un amante del rock vecchia scuola come me non apprezzare la scelta estetica di Marco, che si affida ad un country all’italiana per raccontare la propria libertà. E gli riesce, ad ogni modo, piuttosto bene.
HOFMANN ORCHESTRA, Un’estate all’inferno (album)
Parafrasando la celebre opera invettiva di Rimbaud, l’Orchestra tira fuori un disco che sa di “sasso nella scarpa” per il fastidio e disagio costruttivo sul quale sembra essere stata edificata l’architettura dal piglio rock (un rock sospeso tra i Sessanta e i Settanta, con un suo lato “beat” mica da poco) di una tracklist che diventa un manuale d’istruzione per comprendere la complessità di un progetto sfaccettato, e fin qui convincente in tutte le sue declinazioni.
DELLARABBIA, Lunganotte (album)
Cercate qualcosa che possa infiammarvi e farvi saltare il cervello a colpi di distorsore? Ok, questo è il disco che fa per voi: cattiveria (sana) allo stato puro che si esprime attraverso l’esplosione di una scrittura avvelenata e guaritrice allo stesso tempo, nella resa di una produzione che guarda al sound alternative di fine Novanta/primi Duemila.
NiCOLA MAROTTA, Wembley
Nicola è artisticamente pronto da tempo a grandi palchi, ma nella selva oscura del deserto digitale si finisce spesso per perdere di vista luci importanti; nel dubbio, Marotta ha acceso anche i riflettori di “Wembley”, nel tentativo che l’occhio (anche quello di Sauron, ops, Spotify) possa vedere finalmente il potenziale pop di un’idea di musica leggera che mi piace, eccome.
LUNA CIVETTINI, Sentimentale
Uno scrigno di dolcezze tenerissime – velate da una spolverata (giusta e doverosa) di sana malinconia – per una manciata di canzoni che hanno la delicatezza giocosa dell’infanzia, mescolata a quel retrogusto dolce-amaro che il crescere conferisce alla vita: un’EP d’esordio e di gusto che schiude il cuore e l’orecchio sulla musica di Luna Civettini, finalmente.
EFFENBERG, Incredibile
Visione battiatesca per l’ennesimo bel pezzo di Effenberg che ha ormai trovato l’equilibrio di una scrittura che, senza spostarsi mai di troppo, riesce sempre a farmi dire “oh, sì”. Rivelando, sicuramente, un’idea estetico-pop dura come il diamante.
ROSSANA DE PACE, Terra Madre
Un canto di migrante datato III millennio, per sottolineare quanto le cose cambiano e sopratutto come le cose non cambiano davvero, portandoci a chiederci perché. C’è una visione nostalgica e familiare, in “Terra Madre”, che rende i suoi figli dispersi cordoni ombelicali inestricabilmente collegati al ventre della propria origine; il tutto, suonato, cantato e “pregato” (perché la dimensione spirituale, qui, si avverte eccome) molto bene.
STEFANO PESAPANE, Now and forever
Un inglese non proprio perfetto per un brano che però si muove con passo dinoccolato, quasi battiatesco, su una produzione chill, che rallenta il battito cardiaco per ricordarci l’importanza di raffreddore i motori, quando la velocità ci divora.
FIDO, Contromano
Mica male l’EP d’esordio di Fido, che mette in fila una manciata di brani davvero giusti, dotati di una scrittura che si colora attraverso la bontà della produzione, in giusto equilibrio funambolico tra mainstream e canzone d’autore. Insomma, approvato.
GLI OCCHI DEGLI ALTRI, Notti stanche
Mi piace il piglio teen-pop di “Notti Stanche”, singolo pre-estivo di uno dei progetti più freschi che il venerdì ha saputo offrire alla scena; un timbro cristallino, adatto a declamare una scrittura leggera senza perdere di profondità. Ricordano Lo Stato Sociale di “Turisti della democrazia”, con il plus di una buona intonazione.
NOVA, Enkidu
Una bella spolverata di rabbia allo stato puro che sa rendere piccante il ritorno a diecimila watt dei Nova, che in “Enkidu” non riescono a stare per niente calmi e alla fine spaccano tutto. Con il giusto romanticismo.
ARIETE, Un’altra ora
Ad inizio perso credevo fossimo tornati agli anni cupi del thegiornalismo meno ispirato (non me ne voglia Tommasone nazionale), poi il brano parte e il timbro di Ariete si riconosce subito. Un buon singolo estivo, che non si sposta dalla ormai inossidabile comfort zone della cantante, facendo contenti i fan e continuando a confermare l’astio dei detrattori.
ANNA CAROL, Colla
Mi piace e mi ripiace Anna Carol, che dal cilindro tira fuori un brano simpatico, che rotola da dio e che gode di una scrittura che risuona già di per sé. Figurati se la fai “decantare” nell’ugola di una come Anna, che sa cantare eccome.
GIANCANE, Voglio morire
Giancane è un matto, e le cose che fa mi intrigano sempre: anche questa volta, il cantautore non è da meno e alla fine regala al mio weekend un mantra che credo mi ripeterò tutto il fine settimana. Ecco fatto, e una risata (amara) ci seppellirà.
URUGUAI, Baby Bye Bye
Daje con sto arpeggiatore, che tiene in piedi un brano ironico, sfacciato e decisamente utile a raccontare la sensibilità di un artista da tenere d’occhio. Ricorda un po’ il primo Jesse The Faccio, e quindi mi piace ancora di più.