Dopo le scorribande sperimentali – nemmeno tanto disprezzabili per la verità giacché portavano una ventata di aria fresca nella mai movimentata cifra stilistica del suo autore – di “Who built the moon?”, sei anni or sono, Noel Gallagher è tornato nel terreno che gli è più congeniale, quello del pop-rock, con il suo quarto album “Council Skies”, inciso durante il lockdown.

Credit: Matt Crockett

Fortemente strombazzato da settimane di annunci e pubblicità, il nuovo disco del maggiore dei fratelli monociglio mancuniani è stato anticipato da una serie di singoli nei mesi precedenti. L’interlocutorio “Pretty boy” è stato rilasciato addirittura lo scorso 31 ottobre; “Easy now” – già più convincente con il suo ritornello ottimamente in bilico fra falsetto, chitarre e cori – ha visto la luce il 17 gennaio; la delicata canzone “Dead to the world” il 23 marzo; l’accattivante “Council skies” (probabilmente, a giudicare dalle sonorità, una reminiscenza del precedente lavoro) il 20 aprile, mentre “Open the door, see what you find”, assolutamente dimenticabile, addirittura il 31 maggio, a poche ore dall’uscita dell’album.

E così “Council Skies” regala appena una manciata di brani inediti agli ascoltatori. “I’m not Giving up tonight”, che apre l’opera, è privo di mordente, ma la ballata – deo gratias non affogata dall’arrangiamento: per una volta Noel ha lavorato per sottrazione – “Trying to find a world that’s been and gone: part 1”, che ricorda vagamente le atmosfere di “Sittin’ here in silence (on my own)” (b-side risalente all’epoca di “Don’t believe the truth”, il sesto album degli Oasis uscito nel 2005), è uno dei momenti migliori dell’intero disco. “There she blows!” è una canzone che gira su sé stessa per quasi quattro minuti senza trovare un hook, migliore, grazie a un tiro più grintoso, “Love is a rich man”, al contrario “Think of a number”, il pezzo che chiude il disco, non regala sussulti. Avrebbe meritato maggior fortuna “We’re gonna get there in the end” – perfetta sintesi fra il Noel più ispirato della fase Oasis e di quella solista – relegata (perché?) fra le bonus tracks nell’edizione deluxe dell’album.

A tratti blando, quasi noioso, privo di guizzi, di idee davvero memorabili o di quei magnifici ritornelli da cantare a squarciagola che tanto hanno fatto le fortune commerciali degli Oasis, “Council skies” scivola addosso all’ascoltatore senza lasciare tracce. Alcuni saranno ben lieti che le innovazioni di “Who built the moon?” siano state dimenticate, o quasi, dal suo autore, altri molto meno.

Se questa è la vena creativa del principale songwriter degli Oasis è un bene che la band non si riformi mettendo in gioco la propria reputazione.