Anche nelle migliori famiglie come IFB ci sono pareri discordanti su certi dischi. Di solito ci fidiamo e accettiamo il verdetto del nostro recensore, ma per certe uscite molto importanti e in grado e di dividere la critica, abbiamo pensato a un diritto di replica, una seconda recensione che potrebbe cambiare le carte in tavola rispetto alla precedente. A voi scegliere quella che preferite”…
Leggi “‘l’altra faccia della recensione di “Council Skies” dei Noel Gallagher’s High Flying Birds
VOTO OTHER SIDE: 7
«Un ritorno alle origini. A quel sognare, guardare su nel cielo e chiedersi cosa la vita possa essere.»
I cori che si innalzano dal Maine Road, le cassette clandestine con i pezzi di Stone Roses e Sex Pistols, le acide vibrazioni baggy che sfrenavano i locali sino all’alba e tutti quei vasti sogni nati sotto i cieli pallidi dei sobborghi popolari di Manchester.
Il quarto disco solista di Noel Gallagher è un omaggio alle proprie radici.
«Da qui non si torna indietro» avvertiva Noel Gallagher cinque anni fa, quando usciva “Who Built The Moon?”; una danzante sperimentazione elettronica che aveva finito per creare uno spartiacque tra gli appassionati. Ma, ormai, pare piuttosto evidente – eccetto ai giornalisti – che le affermazioni dei fratelli Gallagher hanno la stessa credibilità di quelle dei politici. Non si tratta di una nostalgica autobiografia retrospettiva da un aspetto strettamente concettuale. Non avendo più nulla da perdere o dimostrare, il musicista mancuniano ripropone il suo indie rock di sempre impregnandolo di soverchianti rintocchi orchestrali – registrati nel solenne Studio Two di Abbey Road –, briosi guizzi creativi e pastose melodie. Ai toni frizzantini di “Who Built The Moon?” si contrappongono quelli riflessivi di “Council Skies”; che, non a caso, si tratta di uno dei tanti dischi nati in balia dell’inquietudine da quarantena – chissà, magari un giorno questo filone sarà storicizzato dalla musicologia.
Tocca all’ozio estivo di “I’m Not Giving Up Tonight” accogliere calorosamente l’ascoltatore. Segue un brano per i wallflower, “Pretty Boy”; caratterizzato da ritmi jangle e losche vibrazioni new wave – profondamente influenzato da “A Forest” dei Cure. Il fatto che questo brano trovi l’accordo di tre patrimoni nazionali della scena alternativa britannica è tutto dire. Ritroviamo ancora – dopo “Ballad Of The Mighty I” e “If Love Is The Law” – lo zampino chitarristico di Johnny Marr, ex Smiths. Come se non bastasse, è stato aggiudicato da Robert Smith stesso – è possibile ascoltare il remix dell’ex Cure nella pubblicazione estesa del disco.
L’indiscutibile bellezza drammatica di “Dead To The World” è destinata ad essere ricordata come tra le più grandi meraviglie venute fuori dalla mano del cantautore mancuniano. È il testamento di morte di un sognatore e di tutte le sue profonde speranze, che galleggia, costernato ma intatto, in un mare di archi che ondeggiano abulicamente.
Se nella Roma antica si usava dire “Carpe Diem”, a Manchester si preferisce “Open The Door, See What You Find.” Un sunshine pop dai violini meravigliosamente armoniosi che oscillano al limite del celestiale. Un paio di influenze sono chiaramente individuabili: “I Am The Key” dei La’s e “Bitter Sweet Symphony” dei Verve.
Un fruscio proveniente da un luogo remoto accompagna in sottofondo la flemma soave di “Trying To Find A World That’s Been And Gone Pt.1″; potenzialmente devastante per i cuori screpolati.
Non da meno è l’eccezionale “Easy Now”; che, incredibilmente, riesce, una volta afferratagli la mano che protrae premurosamente, a farti rialzare dall’inciampo con un’inedita fiducia imperturbabile.
L’omonima “Council Skies”, con i suoi ritmi sballottanti, romanticizza i giorni spensierati e saturi di speranza della propria gioventù (“Catch a falling star and we might drink to better days / Hiding what we find behind the sun / Thinking of what might have been /And what the future says / Waiting on a train that never comes.“).
In fondo la tracklist troviamo “There She Blows” – col suo riff imperterrito – “Love is A Rich Man” – che riprende lo stacco di “I Am The Resurrection” degli Stone Roses – e “Think Of A Number” – The Chief si supera con una neopsichdelia sontuosa tanto quanto oscura.
Noel Gallagher non è di certo il tipo da cui aspettarsi sperimentazioni forzate nel disperato tentativo di ricevere il largo assenso della critica. “Council Skies”, dunque, non è altro che quel voler rincorrere quell’amalgama di suoni e parole che – per quanto inflazionate – siano capaci di indurre l’ascoltatore a quel dolce sognare di quando si lascia sprofondare i propri occhi verso la troposfera (e oltre).