É bello tornare finalmente in Europa!
Così, con ironia brexitiana, Jarvis Cocker si presenta allo sterminato pubblico che riempie il St. Anne’s Park nella periferia della capitale irlandese, per la terza data dell’atteso ed anticipatissimo “encore” live dei suoi Pulp.
Un encore quindi, non strettamente una reunion, anche perché oltre al compianto bassista Steve Mackey (peraltro già sfilatosi dal progetto prima della sua tragica scomparsa lo scorso 2 marzo) manca ancora all’appello il chitarrista/violinista Russell Senior già assente durante il precedente tour risalente al 2012.
Dieci anni senza Pulp dunque, che hanno fatto accumulare un’attesa febbrile poco tamponata dai due opening act scelti per Dublino: gli evanescenti The Orielles non riscaldano l’atmosfera, un po’ di più il set “chitarroso” dell’ex Longpigs Richard Hawley, anche grazie alla sua militanza nella formazione dei Pulp durante il tour di “This Is Hardcore”.
Lo sguardo del pubblico eterogeneo, perlopiù vecchia guardia ma anche qualche centinaio di ragazzi nati dopo l’uscita di “We Love Life”, è tutto per quell’enorme tendone di tessuto bordeaux che riveste a guscio il palco per custodire, in perfetto stile sensual-chic, l’inizio delle operazioni.
Jarvis emerge dal palco sussurrando i primi versi di “I Spy”, pezzo che proietta nel live set con la giusta atmosfera felpata, voyeuristica, per una band e un pubblico che si sono aspettati, pedinati e corteggiati per una decade prima di finire ancora nello stesso letto.
Sono i preliminari di una passione che esplode subito dopo con “Disco 2000”, pezzo che fa esplodere non solo il palco ma anche la sintonia tra il frontman, i “reduci” Mark Webber alla chitarra, un’elegantissima Candida Doyle alle tastiere e Nick Banks alla batteria, insieme alle new entries Andrew McKinney (basso), Emma Smith (chitarra e violino) e Adam Betts (percussioni e tastiere).
Le anime storiche e quelle esordienti dei Pulp si compenetrano, unificati da un Jarvis Cocker in forma vocale e scenica strepitose e da scenografie ed effetti visual eleganti che aggiungono ma non distraggono.
Dopo una “Razzmatazz” travolgente che debutta nelle scalette del 2023, arriva uno dei momenti più toccanti e preziosi, la dedica di “Something Changed” a Steve Mackey, inno alle sliding doors della vita nel bene (come nel romantico testo) ma anche nel male per l’insanabile perdita dell’amico e bandmate.
Lo show va come un treno, la scaletta abbraccia anche pezzi del non fortunatissimo “We Love Life” come “Weeds” e “Sunrise”, a riprova che nell’entusiasmo e nell’energia riportati sul palco dai Pulp c’è il racconto orgoglioso di ogni tappa del loro percorso.
Il meglio però arriva dai territori più cari alle suadenti e graffianti corde vocali di JC, con una stellare versione di una delle canzoni più cupe sull’amore mai scritte, “F.E.E.L.I.N.G.C.A.L.L.E.D.L.O.V.E.”, il feticismo ballerino di “Pink Glove” e ovviamente “This Is Hardcore”, quei maestosi 6 minuti e mezzo manifesto della passione glam e nel contempo dell’eros dark della band di Sheffield.
“In quel momento, con Jarvis seduto su una poltrona che svetta sul resto del palco, sotto le luci soffuse di un lampadario da villa di Eyes Wide Shut”, si percepisce con incontrovertibile certezza che i Pulp non sono tornati per caso né per fare meramente cassa. Ma per dare al pubblico e ricevere indietro qualcosa di viscerale, la passione appunto che scorre forte tra gli oltre 10mila presenti e Jarvis e soci, riprova della necessità di questo ritorno dove niente è lasciato al caso e tutto spinge verso l’intesa, i movimenti e gli sguardi sincronizzati di due amanti.
Fino all’orgasmo, dunque, nell’encore con la sottovalutatissima, crescente “Like A Friend” (pezzo inserito nella soundtrack di “Paradiso Perduto” di Cuaròn), “Underwear” e la “Common People” tanto attesa e tanto urlata al Dublin City Sky, perché anche (quasi) 30 anni dopo suona, in un conforto sporcato di amarezza sociale, tremendamente contemporanea. “And dance, and drink, and screw / because there’s nothing else to do. Still.”
Bentornati, per rimanere.