Il rock spaziale dei Telescopes si tinge di tinte oscure, vacilla, si trascina, procede a tentoni, in una notte gelida, moribonda, famelica e drammaticamente senza né stelle, né luna ad accompagnarne l’evoluzione ritmica, darkeggiante e psichedelica. Una notte che sembra uscire dalle pagine del compianto Cormac McCarthy, mentre la band inglese volge il proprio sguardo e la propria attenzione ad oriente, laddove, un tempo, sorgeva ancora il sole, laddove ebbe origine quella civiltà umana che avrebbe, nei successivi millenni, stupito e creato, ma anche, purtroppo, deluso e distrutto.
Stupire, deludere, cadere, rialzarsi. Non perdere mai la fiducia.
“Of Tomorrow” trasforma le storie, le tramuta in melodie circolari asimmetriche, nelle quali le chitarre scandiscono i giorni migliori ed i luoghi speciali, quelli ai quali restiamo aggrappati, consapevoli che sono tutto ciò che ci può salvare, separandoci dal lato buio della paura, della rinuncia e della perdizione, quello nel quale le stesse, medesime domande – dove iniziamo? dove finiamo? – continuano, imperterrite, ad echeggiare dentro e fuori ciascuno di noi, impedendoci di essere liberi, impedendoci di progredire, ma lasciandoci imprigionati in una solitudine esistenziale, frustrante, malefica, ostile e mortale.
Il disco, invece, evoca le trasformazioni, i cambiamenti, gli scintillanti fiumi del tempo, il vivido fuoco dei Velvet Underground e di tutti gli altri eroi, il rumore emotivo che ci rammenta di essere i compagni dello stesso viaggio, un viaggio con i suoi intoppi e le sue riprese, con i suoi synth e le sue divagazioni strumentali, con le sue parole malinconiche e le sue percussioni accattivanti, con le sue alterazioni chimiche e le sue architetture elettroniche, con le sue giostre e i suoi luna-park, con le sue trepidanti attese e i suoi indispensabili tocchi di romanticismo.