Terzo album in dieci anni di carriera per i britannici Demob Happy che, anche questa volta, ci conducono in maniera disinvolta nel loro coinvolgente e variegato ambiente sonoro. Seguito dunque da “Dream Soda” del 2015 e da “Holy Doom” del 2018, questo “Divine Machines” porta con sé una certa esperienza condita anche da quattro tour negli Stati Uniti, un tour di supporto nel Regno Unito al seguito di Jack White e uno in Europa con i Royal Blood.
L’ottima apertura con le ficcanti chitarre di “Token Appreciation Society” apre la via per la successiva “Voodoo Science”, un brano fragoroso quanto energico che risulta uno dei momenti migliori del disco.
Caratteristica principale della compagine di Newcastle, formata dal frontman e paroliere Matthew Maercantonio, dal chitarrista Adam Godfrey e dal batterista Tom Armstrong, è senza dubbio la loro caratteristica impronta sonora che riesce a mettere insieme nel gran calderone indie anche spot di psych-rock rendendo l’intero full-length ricco di riuscite sfaccettature. Episodi come “Super-Fluid”, con il suo refrain ruffiano e accattivante oppure come “Run Baby Run”, con il suo poderoso incedere sorretto da ammalianti cori o, ancora, come la psichedelica “I Have A Problem (I Ignore)”, fanno da contraltare alle note pacate dell’immancabile ballad “She’s As Happy As A Man Can Be”.
Prodotto dallo stesso Matthew Marcantonio con Tom Dalgety in cabina di regia (Pixies, Ghost, Royal Blood), “Divine Machines” conferma le buone doti del trio britannico probabilmente superando anche le aspettative per la sempre difficile prova del terzo album il quale convince senza stravolgere, coinvolge senza strafare. Ciliegina sulla torta la bella closing track “Hades Baby” registrata con un’orchestra nello studio Two di Abbey Road.
Ovviamente sentiremo parlare senz’altro dei Demob Happy.