In un tempo in cui la velocità è il paradigma ahimè accettato per la valutazione di qualsiasi forma di contenuto, in cui il tempo ha ristretto sempre di più la sua funzione di spazio fondamentale per la conoscenza non superficiale di ciò che ci gira attorno, Christine che non è avulsa da questo contesto ma che sicuramente per le note caratteristiche personali ne fa parte in una dimensione particolare, se ne esce con un album di una lunghezza spropositata, più di un’ora e mezza con 20 canzoni piene, una moltitudine di generi proposti e una consistenza quasi letteraria, ambiziosa e colta, di adattamento alla pluripremiata commedia “Angels in America” di Tony Kushner.
Il risultato è un mastodontico, debordante ritratto d’autore che esce dai confini della cornice come dovrebbe essere veramente la vita, come se si potesse dare un limite alla sua espansione, come se le paure, i tormenti, gli affetti, soprattutto il senso della solitudine, argomenti che nutrono le liriche di questo “Paranoia, Angels, True Love” potessero essere trattenuti dentro un’area protetta, dove stazionare dormienti: tutto questo è difficile per ognuno di noi, anche se ci si sforza inutilmente di usare il controllo, che prima o poi arriva la botta, figuriamoci per Chris e la sua storia, la sua energia, la sua esigenza di esprimere all’ennesima potenza il suo smisurato ego.
Qui sta un pò il nocciolo della questione e di questo album, troppo lungo per essere compreso, troppo faticoso per avere un senso compiuto, discontinuo all’ennesima potenza per poter dire che valeva la pena di inserire tutte queste canzoni, troppo pieno di tutte le cose che Christine aveva in mente e che non ha voluto filtrare, ma anche immancabilmente con diversi momenti notevoli dove l’artista francese riesce a prendere l’ispirazione per il verso giusto, elevando la sua emotività sopra il resto: questi momenti sono quelli quelli in cui si ritrova a proprio agio, ad esempio nelle morbide linee di “Flowery days”, dolce ballata di intramezzo, semplice e riuscita con questo piano quasi da canzone anni 60 francese o quando l’epicità ampiamente diffusa a sproposito in tutto l’album si fa apprezzare come in “He’s been shining for ever, your son”, glaciale e magnetica, piacevole sorpresa con un’architettura di un ambient rumoroso a metà fra il world di Gabriel e il Sylvian di “Gone to earth”.
L’approccio a generi fin qui un pò lontani dal repertorio di Chris è controverso, figlio di una volontà di lanciarsi probabilmente in un contesto sonoro più allargato ed internazionale rispetto a quello sentito finora, che volge lo sguardo verso una produzione USA ortiented, vedasi il largo uso dell’inglese rispetto al passato, che si concretizza in alcune cose riuscite post dub step come l’iniziale “Tears can be so soft”o il singolo “To be honest”, bella electro trattenuta con chitarra finale anni 80; altrove, ci sono intromissioni non proprio riuscite in ambito gospel (“I met an Angel”, “Shine”), in alcuni casi ci sono illusioni patinate di canzoni che non riescono a decollare, incluse entrambe le collaborazioni con Madonna, “Lick the light out” e “I met an Angel” dove la divina si manifesta con spoken vagamente periodo “Vogue”, ma anche qui in brani troppo poco intensi per accendere la collaborazione.
Quello che è certo è che si rimane con una sensazione di dolce amaro dall’ascolto di tutta questa impegnativa prova sonora, dove si assiste oggettivamente al tentativo di progredire di un artista a tutto tondo, instabile e non avvezza alla comfort zone, con l’istinto a non rimanere coi piedi per terra e a provare a espandere il proprio ambito di azione, che nello specifico di “Paranoia, Angels, True Love” lascia la strada di un soul bianco alla Michael Jackson, un pop electro con quella nuance da french touch che faceva ben sperare, per provare ad arrivare, prima di comunque giungere al successo con questa proposta, ad inseguire velocemente il tempo che cambia, forse correndo dietro le mode (vedasi Kelela), forse inseguendo miti (Madonna), forse cercando ancora una volta solo la propria strada, con esiti simili al movimento a spirale alternata, in cui resta quello che di buono c’era e si incontra senza appigli quello che non si conosce.