L’estate 2023 vede anche il ritorno in Italia di Damien Rice, il quale, in realtà, va ad implementare la sua presenza dopo le due fulminee date sold out di quest’inverno.
Artista che conosciamo tutti e che da noi conserva sempre uno zoccolo duro di estimatori, sebbene non pubblichi musica nuova da tempo, esattamente da nove anni e non abbia, come dire, avuto una carriera né longeva dal punto di vista discografico e nemmeno un’esposizione generosa, sostanzialmente vive di rendita grazie ai suoi primi tre dischi, in particolare al sorprendente esordio e al successivo “9″, uscito quattro anni dopo, a metà anni zero.
L’artista irlandese non smette comunque di fare concerti e per questo secondo ritorno nell’ultimo anno solare sono ben nove gli appuntamenti in giro per l’Italia.
La sua gentilezza, sincerità e fragilità occupano quella casella spesso vuota di questo genere di cantautori, innegabile poi che la scrittura di Rice abbia lasciato il segno e lo continui a farlo anche per chi lo scopre ex novo.
Può capitare che l’incantevole Vittoriale sia una location che stia stretta per un certo tipo di set, penso ragionevolmente a qualcosa di rock o rumoroso, mentre non ho dubbi invece che per le atmosfere del songwriter di Celbridge, l’anfiteatro di Gardone Riviera sia, probabilmente, il posto migliore al mondo dove suonare la sua musica.
La storicità e il sito, ma anche la stessa dimensione, ci sono solo 40 metri dal punto più lontano e 3 da sotto il palco, fanno l’intimità del vittoriale, il posto perfetto per le storie malinconiche e per il racconto della sua musica.
Il successo planetario di un esordio così fortunato, lo ha reso celebre e familiare e ancora oggi quelle canzoni vivono di luce propria, tra sincronizzazioni e utilizzi commerciali.
Ma tutti i centellinati tre lavori di Damien Rice sono notevoli, ha preferito sempre la qualità ad una produzione prolifica e presenzialista, ma magari meno efficace e più di mestiere; dovrebbe essere sempre così, se non fosse per logiche legate al business discografico.
Damien si presenta in solitaria, quasi sempre chitarra e voce, sussurrando e cantando tra piani e forti per un concerto prettamente teatrale, come del resto il posto suggerisce; per qualche pezzo raggiunto da una violoncellista, che si occupa anche delle parti vocali, è il set più intimo che si potesse prospettare e per chi apprezza questo lato del musicista irlandese, che è poi la caratteristica che lo ha reso celebre, si trova nella dimensione ideale, secondo me non tutte le scelte sono state azzeccate, per esempio quella di utilizzare luci minimali quasi inesistenti che potrebbe sembrare anche essere una decisione contestualizzata, ma si è persa, a mio avviso, l’atmosfera del Vittoriale, che abbinata a giochi visivi acquista valore e rende sicuramente di più.
Le canzoni sono una più bella dell’altra, su questo non c’è dubbio, la produzione centellinata di Rice, come detto sopra, ragionevolmente, ha permesso una selezione del materiale, sostanzialmente non ci sono riempitivi.
Parte con un inedito spalle al pubblico guardando il lago, per poi riabbracciare i tanti fan presenti (la data è esaurita da tempo), suona diversi brani, alla fine saranno una quindicina per un’ora e mezza di performance, “Cannonbal” nell’abituale e giusta dimensione, una clamorosa “Accidental Babies” al piano, sussurrata in un silenzio irreale, c’è spazio anche per code di loop con voce e distorsione accompagnato da strobo in atmosfere radiohediane. “Amie” suonata dopo una fan request, c’è una sorpresa per questa data, l’invito sul palco di Francesca Michielin, che si dice abbia conosciuto l’artista in uno dei famosi after show che, Damien Rice, tiene abitualmente dopo i suoi concerti. Appuntamenti per pochi improvvisati in dimensione falò. Suonano insieme la sempre presente “9 Crimes” in una sorta di mash up con “Rootless tree”, Chiude con unico bis, l’immancabile “Blower’s dauther”, il brano per eccellenza, quello che ha fatto svoltare la sua carriera.
Qualcuno, tra cui anche noi, si è appostato, in attesa del possibile e succitato after show, ma per questa volta, niente da fare.