I Geese con il loro album di debutto del 2021 “Projector” erano riusciti a catturare l’attenzione per un approccio maturo e sicuro, nonostante la giovanissima età riuscivano a proporre un sound ricco di influenze post punk che interpretavano con un piglio tutto sommato diverso rispetto le altre band in circolazione.
Il loro ritorno con “3D Country” rimescola le carte e ci presenta una band che fa una scelta coraggiosa scegliendo di muoversi nella zona più selvaggia e pazza della loro musica, sentendosi libera di esprimersi in modo eccentrico esplorando la parte più rock e a tratti prog del suo stile.
Per questo lavoro hanno chiamato l’ormai veterano produttore James Ford (Arctic Monkeys, Foals, Florence and the Machine, Depeche Mode, Gorillaz e tanti altri) che fa sentire il suo apporto aiutando questi cinque giovanissimi ragazzi appena ventenni ad esprimersi in modo perfetto.
Una band che nasceva due anni fa già incredibilmente sicura di se e che oggi aumenta il carico mostrandosi quasi sfacciata con un album che non si adagia sul successo di “Projector” ma va oltre, i ragazzi senza nascondersi e senza filtri ci danno dentro con una convinzione che mi conquista al primo ascolto.
L’ apertura con “2122″ mette le cose in chiaro, Cameron Winter mette in mostra un versatilità vocale da vero rocker con venature blues seguito a ruota dalle chitarre di Gus Green e Foster Hudson, dal basso di Dom DiGesu e dalla batteria scatenata di Max Bassin in un caos ragionato coinvolgente e sfacciato che funziona alla grande.
“3D Country” è un gran pezzo che ci riporta in una specie di normalità tra una melodia accattivante mentre Cameron non prende fiato e con atteggiamento da crooner si destreggia tra coretti perfetti, così come in “Cowboy Nudes” con la batteria in primo piano mentre New York è sottacqua.
“I See Myself “ si muove come una ballata rock con venature blues mentre Cameron si cimenta in falsetti caricando continuamente l’interpretazione, e infilando fino ad ora insieme ai suo compagni una serie di brani riuscitissimi.
L’album non solo li traghetta definitivamente fuori dal post punk, ormai capace di etichettare qualsiasi cosa, ma li ripresenta in una chiave rock con varie influenze anni 70 tra Rolling Stones, Led Zeppelin e anche ricordi glam tra Bowie e Bolan, sapori che ritroviamo in parecchi brani come l’ottima “Crusades”, la coinvolgente “Gravity Blues”, una serie di brani che sono un invito ad un viaggio affasciante, audace e temerario e che con “Tomorrow’s Crusades” preannuncia una fine, la fine di un album che potrebbe far storcere il naso ai fan della prima ora ma che a mio avviso certifica che questi ragazzi hanno intrapreso la via giusta.
“3D Country” è un lavoro sfacciatamente ambizioso dove ogni singolo componente si esprime sopra le righe senza paura e con una sicurezza da veterani, un album di cui avevamo assolutamente bisogno e che li ripropone più convincenti che mai, siamo solo all’inizio ma questi giovanissimi ragazzi potrebbero riservare in futuro altre grandi sorprese.