Dopo 6 lunghi anni i Clientele tornano con un nuovo album e ancora una volta ci lasciano senza fiato. Classici eppure sperimentali, accoglienti eppure capaci di spiazzarci e disturbarci, oscuri e malinconici ma con una luce che ci sembra di percepire all’orizzonte…i Clientele giocano con i contrasti. restando fedeli a loro stessi ma nello stesso tempo mutando pelle, sorprendendoci. Ogni volta è magia cristallina. “I Am Not There Anymore” è un disco semplicemente immenso, di una bellezza che, giuro, faccio fatica ad esprimere a parole. Tale splendore meritava di essere approfondito proprio con Alasdair MacLean, cantante e chitarrista dello storico gruppo londinese. Noi lo ringraziamo tantissimo per la sua gentilezza che ci riempie di orgoglio.
Ciao Alasdair! Grazie mille per aver trovato il tempo di chiacchierare con noi. Dopo tanti anni, l’uscita di un disco ti dà ancora le stesse emozioni?
Ciao Ricky, beh, i diversi dischi hanno sensazioni e rischi diversi. Questo disco, l’ho fatto davvero per me stesso, non ho mai pensato se sarebbe piaciuto a qualcun altro o qualcuno l’avesse poi comprato. Quindi non mi sento troppo nervoso: se la gente non lo apprezzerà, sarà colpa mia!
Ancora una volta vedo “il marchio” della Merge Records. Immagino che ormai ti trovi perfettamente a tuo agio con questa etichetta…
Mi piacciono come etichetta e come persone, e sono stati estremamente bravi con noi. Il bello è che amano la musica. Credo che molte etichette non lo facciano, per quanto possa sembrare strano.
Stavo leggendo alcune delle varie recensioni dei vostri album precedenti. Forse mi sbaglio, ma credo che ci siano almeno 3 o 4 parole che ricorrono sempre, ovvero: malinconico, ombroso, notturno, autunnale. Sono 3 aggettivi che, come persona, non come compositore di musica, possono descriverti bene o la musica dei Clientele non rispecchia completamente la tua personalità?
No, ti direi che non mi descrivono molto bene, almeno non credo. Le persone che mi conoscono bene userebbero aggettivi diversi e probabilmente non molto lusinghieri. Tuttavia, ti confesso che non sono una persona che si conosce molto bene.
Il nuovo album arriva a ben 6 anni di distanza dal precedente. Naturalmente credo che la pandemia abbia avuto un ruolo importante, ma forse ci sono anche altre ragioni per un periodo così lungo. Cosa c’è da dire?
Durante la pandemia abbiamo lavorato più intensamente perché non c’era molto altro da fare e questo ha accelerato il processo. Il nostro metodo di lavoro da quando siamo tornati con “Music for the age of miracles” nel 2017 è stato quello di aspettare che le idee arrivassero, per poi registrarle in studio il più velocemente possibile. E poi aspettare che arrivino altre idee. Pur registrando velocemente, registriamo solo quando ci sono idee. Quindi il processo complessivo può richiedere settimane, mesi o anni di attesa. In realtà è anche il modo in cui abbiamo realizzato “Suburban Light”. Dal punto di vista creativo, per noi funziona meglio che avere due settimane in uno studio dove dobbiamo registrare tutto secondo una scadenza.
Per molti artisti, la pubblicazione di un disco è spesso un segnale forte, un messaggio che indica “una presenza”, l’esserci in quel momento. Il vostro nuovo album, invece, sembra andare nella direzione opposta, perché si intitola “I Am Not There Anymore”. Esserci… ma, di fatto, non esserci nel senso più classico del termine: è questa la vera essenza dei Clientele?
Può darsi Ricky. C’è un verso nella poesia “La dea bianca” di Robert Graves – “sister of the mirage and the echo“: molti dei dischi dei Clientele si rivolgono a questo tipo di spazi negativi, non la cosa reale, ma il miraggio. Non so sempre perché. Credo che alla base ci sia un senso di perdita, ma non riesco a capire cosa sia. Si manifesta in immagini e musica, ed è quello che faccio.
Ho letto che molti dei testi del disco sono fortemente ispirati da un lutto: la morte di tua madre nel 1997. Tra il 1997 e il 2023 sono passati molti anni e ci sono state molte uscite a nome Clientele. Perché solo ora questo evento sembra tornare in modo così evidente nella tua musica?
Penche che me l’ha chiesto anche un’altra persona di un altro Paese europeo e ho dovuto rispondere “perché sono inglese”. Non ne ho parlato per 20 anni, in realtà. Ma forse questo getta una luce sul senso di tristezza che pervade la notra musica. In ogni caso ho pensato che ora fosse il momento giusto per affrontarlo. Non so perché.
Già nell’album precedente c’era il desiderio da parte del gruppo di sperimentare. C’è una canzone che per me è sempre stata rappresentativa e un biglietto da visita magico di quel disco, ovvero l’ambiziosa “Everything You See Tonight Is Different From Itself”. Posso dire che ascoltando la prima canzone, la magnifica “Fables Of The Silverlink”, ho davvero ritrovato le stesse sensazioni che provavo quando ho ascoltato, sei anni fa, “Everything..”? Ho sentito come se ci fosse una sorta di connessione, come se ci fosse una continuità tra i dischi, e l’ho trovata immediatamente espressa in queste due canzoni. Cosa ne pensi?
È un’ottima intuizione Ricky, davvero, perché “Everything You See Tonight Is Different From Itself” è stata l’ultima canzone che abbiamo fatto per il disco precedente, mentre “Fables of the Silverlink” è stata la prima per questo disco. Una canzone porta all’altra, sicuramente.
Da quello che ho capito il vostro approccio in studio di registrazione, con questo nuovo album, è cambiato, o mi sbaglio?
Sì, perché abbiamo comprato un computer e abbiamo imparato a usarlo. Così abbiamo portato a casa le registrazioni in studio di batteria, basso, chitarra e voce e abbiamo iniziato ad aggiungere e modificare le cose al computer. Non l’avevamo mai fatto prima. Anche se in questo disco le canzoni sono piuttosto sperimentali e diverse, non ci sono sintetizzatori o rumori elettronici, a parte i beat. Ogni strumento che usiamo è uno strumento vero o il suono proviene da una registrazione, sul campo, di un luogo reale. Non è stata una scelta deliberata, ma è stata istintiva, come deve essere.
Il disco è ricco di intermezzi musicali. Possiamo considerarli come momenti in cui la nostra mente si stacca dalla canzone precedente e si prepara a “entrare” in quella nuova?
Esattamente. In ogni caso, è così che li ho visti io quando ho messo in sequenza il disco. I pezzi di pianoforte e celesta sono di Mark, però, quindi non so bene come esprimere il loro significato all’interno del mio pensiero di “passaggio” da un brano all’altro.
Posso dirti che “My Childhood” mi ha fatto venire i brividi in un modo che non provavo dai tempi di uno dei vostri vecchi brani, “The Green Man”, che era su “Minotaur”. Come è nata quella canzone?
Beh, la mia infanzia è stata letteralmente dissonante – la partitura degli archi è nata da una registrazione su un campo ventoso, che ho tradotto in file midi. Il computer ha cercato di catturare l’altezza e la durata delle note del vento, ma ovviamente il vento non dà voce alle note, ma scivola attraverso le frequenze. Morale dell favola: il computer si è quasi rotto cercando di eseguire l’algoritmo e poi gli strumentisti si sono quasi rotti cercando di suonarlo. Poi ho pensato che ci volesse una sorta di linguaggio, per dargli una struttura. Ho pensato alla bellissima poesia di André Breton “L’unione Libera”: ogni verso inizia con “mia moglie è…“. Così ho iniziato con “la mia infanzia è…“. E poi ho aggiunto righe di descrizione o citazioni che avevo raccolto, piccoli frammenti che trovavo interessanti. Quando li ho aggiunti come seconda parte della frase mi sono reso conto che non avevano alcun senso, ma erano “insensati in modo interessante”. Mi ha detto qualcosa, credo che sia impossibile descrivere la propria infanzia. Le parole non riescono a descriverla in modo significativo, ma forse possono farlo se sono autocontraddittorie.
Il disco è pieno di arrangiamenti magnifici, ci sono archi che quando entrano nelle canzoni mi fanno venire la pelle d’oca o le lacrime, lo giuro. Mi chiedo se certi arrangiamenti nascano già nella tua testa fin dall’inizio o si sviluppino in seguito?
Di solito dopo, una volta che la canzone è stata registrata, la batteria, le chitarre e la voce, si ha qualcosa di stabile da aggiungere, piuttosto che solo un’idea o un demo. È stato incredibilmente divertente aggiungere melodie con il violino, il violoncello o altro.
Vorrei complimentarmi con te per ogni canzone, ogni melodia, ogni ritornello. Ancora una volta sei riuscito a entrare nella mia testa e nel mio cuore, caro Alasdair. Avrei delle curiosità su ogni brano, ma mi limiterò a due. La prima riguarda “Claire’s Not Real”…come è nata l’idea di unire il tuo sound classico alla bossa nova? La seconda curiosità riguarda la splendida tromba di “I Dreamed Of You, Maria”: è stata un’aggiunta fondamentale per questa canzone. Chi se ne è occupato e come è nata l’idea della tromba?
Gli Amor de Dias facevano molta bossa nova e io sono un fan di chitarristi come Edu Lobo e Toquinho e di gente come Arthur Verocai da anni e anni. La canzone sembrava adattarsi al ritmo, ma il ritornello, come hai intuito, non è bossa, è un brano classico dei Clientele. L’idea della tromba in “I dreamed of you Maria” è venuta in mente a me. Fa da ponte tra le due parti della canzone, credo che il cambio di tonalità sia merito suo.
Sono sicuro che ti piacciono tutte le canzoni del suo album, ma ne hai una in particolare che ti entusiasma?
Mi piace la prima canzone perché è così improbabile che abbia successo. Ha così tante idee, così tanta strumentazione, ma in qualche modo, come un surfista che emerge da un’onda, l’abbiamo superata senza cadere di faccia. Non riesco ancora a crederci. È tutto assurdo, davvero!
State già pensando a come presenterete questi brani dal vivo?
Non ne ho ancora idea e il nostro tour negli Stati Uniti inizia tra due settimane!
Alasdair, grazie mille per la tua gentilezza, non sai come sono felice di aver chiacchierato con te. Per me èp un grand eonore, veramente. La mia ultima domanda è ancora una doppia curiosità. Mi chiedevo quale fosse il legame tra l’evocativa copertina del vostro disco e la musica che il disco stesso contiene e poi volevo sapere perché avete deciso di farvi fotografare dentro un’armatura, mi ha fatto molto sorridere, sembrate tre eroi fuori dal tempo… fuori dal tempo forse come la musica dei Clientele…
La copertina del disco è una calligrafia di Kamedo Bosai, che si chiama “invecchiare”. Ho letto che i giapponesi non riescono più a leggerla facilmente, ma che non possono apprezzarla come arte astratta come fanno gli occidentali, perché ricorda loro troppo una scrittura che dovrebbero capire. Mi piace questa tensione e l’immagine è molto bella ai miei occhi. Per quanto riguarda l’armatura…Dio solo sa a cosa stavamo pensando. All’epoca sembrava una buona idea. Grazie ancora a te Ricky.