Di Enrico Sciarrone
Potremmo definire la serata di ieri sera, come quella dei grandi ritorni.
Inutile girarci intorno, il rimaterializzarsi sulle scene da parte dei Slowdive, considerati paladini di un genere come lo shoegaze (anche se per stessa ammissione dei diretti interessati il termine risulta riduttivo per il sviluppo del percorso musicale intrapreso nei trent’anni di carriera), fonte di ispirazione e di tributo per tante generazioni di nuove band, dopo sette anni di assenza, data unica in Italia proprio qui allo Ypisgrock, ha catalizzato la folla delle grandi occasioni, quella che caratterizza i sold out memorabili, i live da non mancare assolutamente. E stasera vedere così tante presenze ci ha riempito il cuore di gioia, perché agli eventi fatti bene, quelli dove l’audio funziona, la visuale è ottima e chi ha comprato il biglietto non è trattato come un pacco postale, beh, è bello che la gente risponda “presente“. Slowdive attesissimi certo, ma il folto pubblico ha dimostrato competenza e attenzione anche verso gli altri partecipanti al Festival. Insomma, una gran bella serata.
In attesa dei favolosi headliner, la giornata di ieri vedeva l’inizio anche dello Ypsi & Love Stage, festival parallelo rigorosamente al pomeriggio nella location più intima e raccolta del Chiostro di San Francesco. Non ci sono dispiaciuti l’eterea Helen Ganya con il suo dream pop gradevole e Juno Francis, duo svedese di base a Berlino che ha sciorinato una sorta di elettro pop molto ricercato e dalle sonorità piuttosto retro ma gradevole, con grande presenza scenica della cantante.
Allo scoccare delle 21, orario d’apertura ufficiale della serata, il Castello si presentava già stracolmo, l’attesa era palpabile cosi come l’aspettativa verso le due uniche band, in cartellone, che ci avrebbero accompagnato fino ai Slowdive. I primi a salire sul palco sono i Traams trio inglese di Chichester, anche per loro (seppur con le dovute proporzioni) si tratta di un grande ritorno. Inattivi da circa otto anni (per motivi interni alla band e poi legati alla pandemia) li avevamo lasciati nel furore post punk del loro ultimo lavoro targato 2015 (“Modern Dancing”), li troviamo pur sempre esplosivi, netti, perentori ma decisamente evoluti nella proposizione melodica del loro ultimo lavoro pubblicato recentemente, “Personal Best”, che segna anche un passo netto in avanti rispetto al passato. Convincenti.
A seguire la deliziosa Liela Moss cantante britannica ex voce dei Duke Spirit, ormai pienamente impegnata nel suo percorso solista con il suo ultimo recente lavoro “Internal Working Model” da cui ha attinto pienamente nel corso della sua gradevole performance, fatta sia di suggestioni e atmosfere cupe ma anche su ritmi e sonorità decisamente trip hop. Molto coinvolgente a giudicare dalla risposta del pubblico.
Con una tale buona predisposizione dei presenti, c’erano tutti i presupposti per un gran finale di serata e i tanto attesi headliner della serata (o forse di tutta la manifestazione, giudicate voi), gli Slowdive, non hanno deluso le aspettative. Rachel Goswell e Neil Hailstead, basterebbero già i loro nomi per emozionarsi, ma tutta la band ha dato prova, come sempre c’è da dire, di compattezza e affiatamento.
Che dire quindi? Li abbiamo ritrovati in uno stato di grazia e hanno sfoderato una performance di altissimo livello, dimostrando di aver conservato ancora intatta la loro anima profonda, esistenziale, ricca di atmosfere di suggestioni eteree di infinito respiro, dove i riverberi distorti delle chitarre sono sempre governati da melodie capaci di trasportarti mentalmente ovunque. Slowdive hanno voluto in questo modo celebrare il ritorno sulle scene con il proprio pubblico con una setlist che ha pescato rigorosamente fra tutti i classici del loro repertorio recente e passato (c’è bisogno di elencare alcuni titoli che hanno fatto la storia dello shoegaze? Comunque perle come “Avalyn”, “Catch The Breeze”, unico richiamo da “Just For A Day”, “Alison e “When The Sun Hits” non sono mancate, con “40 Days” a chiudere il tutto. “Slomo” invece ha avuto l’onore di aprire il set. Fa sempre piacere notare come “Souvlaki” sia stato il disco più “saccheggiato” in setlist, con 5 brani proposti su 15 totali e c’è stato posto anche per “Crazy For You” da quel “Pygmalion” che, nel 1995, segnò una svolta sonora importante per la band. Sempre bella e toccante la classica “Golden Hair”, cover di Barrett, immancabile nei loro live, ma forse la perla per veri intenditori è stata la riproposizione di “Sleep”, oscuro brano degli Eternal, la band pre-Slowdive di Christian Savill), ignorando volutamente di presentare il nuovo materiale del prossimo album “Everything is Alive” in uscita il primo settembre, fatta eccezione per il nuovo singolo “Kisses”, che da vivo funziona molto bene e, a mio parere, è già in grado di battersela tranquillamente con i pezzi più noti della band. In attesa di capire se non avranno perso il tocco magico anche in studio, possiamo dire che il loro live ha soddisfatto tutti. Bentornati.