Credit: Andy Witchger, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

Come diciamo spesso su X (grazie Elon, faccina che impreca) “Non si poteva mancare“. No, alla reunion di Glen Hansard e Marketa Irglova non si poteva mancare. Anche se era lontana 12 ore di aereo. E così presi i ticket un paio di mesi fa a 100 bigliettoni a testa, dollaro più dollaro meno eccoci davanti al teatro. Che già la foto all’esterno che annuncia il concerto coi neon colorati vale un terzo del prezzo del biglietto. Dentro la struttura è enorme. Come tutto a New York. Dai camion dei netturbini agli scuolabus, dai muscoli alle panze. E che non ce la facciamo una birra preconcerto. Massì. 28$ più le tasse più la tip che moglie sceglie del 15%. Per due ipa in lattina da 16 once liquide. Poi ci accomodiamo in posti a circa 2 km dal palco. Ma ce ne sono anche di molto più lontani.

Non saprei quantificare quanta gente ci sia ma tanta. Non c’è sold out ma 3-4 mila sicuramente. Alle 20 in punto inizia Lisa ‘O Neill. Un po’ noiosetta. Il bimbo dietro di me dorme della grossa. Unico sussulto un brano a favore del cash. Speriamo non abbiano avvertito Salvini sennó ci fa un post su Instagram.

Break.

Americani portano in sala di tutto, dai popcorn, a bicchieri di vetro pieni di champagne (28 dollari al calice nel caso foste curiosi). Poi si fa sul serio. “Lies” è subito da brividi. Anche perché l’acustica è qualcosa di spaziale. Ma sentito così bene da noi poveracci abituati a Estragon e Alcatraz e palazzetti in giro per l’italia. “The Answer is Yes” è il nuovo singolo e onestamente non dispiace affatto col suo incastro di voci. Molto delicata “One of us must lose” prima che Glen si scateni sulle note di “When hour mind’s made up” (e non ho potuto esimermi dallo schiacciare il tasto rosso sull’I phone per portarmi a casa un ricordo). Poi Un paio di pezzi di Marketa (“everything to you” annoicchia mentre “My Roots go deep” piace). In mezzo bella versione di “The Moon”.

“Leave” eseguita dal solo Glen è da brividi. “My father’s daughter” scritta insieme ad Eddie per la figlia Olivia Vedder non entusiasta. “Low rising” morbidissima fa ondeggiare i capi. Poi una pleonastica cover di Van Morrison ed una commovente “If You want me” prima di “Fitzcarraldo” bella tirata. Sono indeciso se giocarmi il secondo video su “Falling Slowly”. Decido per il sì e faccio bene. Versione splendida che ho aspettato per anni con Marketa ad impreziosirla. Anche perché su “Say it to me now” c’è il sogno americano che si avvera.

Sale sul palco tale Gabriel, un busker che canta insieme a lui senza microfono. Standing ovation mentre io rimango seduto per controllare se Sinner è andato in finale a Cincinnati. Per “Gold” il palco è sempre più affollato. E per “Three Babies” (cover della O’Connor) torna pure Lisa O’Neill. Versione bah, forse Sinead avrebbe strappato pure la sua di foto. Chiudono Glen e Marketa con una versione acustica di “Fuck Town”: un concerto che aspettavamo da lustri.