Sono davvero felice di ritrovare i The XCERTS. Adoro questa band di Aberdeen e attendevo con impazienza questo quinto album. La band scozzese non segue le orme del precedente (e bellissimo) “Hold On To Your Heart“, ma sembra quasi aver deciso di fare un salto nel passato, emotivamente e musicalmente parlando. Ne esce così “Learning How To Live and Let Go“, un disco immediato, diretto, scritto con quell’urgenza che potrebbe animare una band all’esordio, ma con la consapevolezza di chi ormai ha già una discografia decisamente ricca. I The XCERTS guardano al pop (perché “Lovesick” è dannatamente e favolosamente pop!), a quel pop imbastardito e contaminato, quello che strizza l’occhio al grunge, al punk, all’elettronica (“Lust in Translation”, ovviamente), ma non si butta via in miserie da classifica. Non avremo quindi adulti che fanno i bambini con gli strumenti, ma professionisti intenti a ritrovare e ricreare certe sensazioni, sopite forse, ma solo da riavvivare: ci sono riusciti. La cura delle melodie è altissima, sia che si tratti di canzoni incendiarie e piene di benzina (“GIMME” o “Ache”) sia che si vada sulla ballata (la jazzata “My Friends Forever”…e, oltre a questa, che ballate in questo disco, mamma mia!): ne risulta così un album in cui la band traccia un percorso autorevole e credibile, di crescita sicuramente (e forse il tirolo stesso ci da una traccia importante da seguire) ma nello stesso tempo anche di “ringiovanimento”, spavaldi ma con una doverosa maturità, per capirsi.
Vi verrà da ridere forse, leggendo queste parole, eppure sono le sensazioni che sto provando, ascolto dopo ascolto e la chiacchierata con Murray Macleod, voce e chitarra della band, me lo conferma. Un disco che scorre velocissimo, che brucia rapido come un cerino, illuminando alla grande però la via di una band che si diverte e non ha alcuna paura di mettersi in gioco, consapevole di una forza, a livello di scrittura, forse mai così esaltante.
Ecco cosa ci siamo detti con Murray….
Ciao! Grazie mille per questa chiacchierata! Come state?
Stiamo benissimo, grazie! Siamo davvero felici di essere tornati a pubblicare musica e siamo entusiasti di far conoscere questo disco a tutti.
Dopo tanti anni di carriera, l’uscita di un disco vi dà ancora le stesse emozioni?
Certo! Creare e scrivere dischi insieme significa ancora tutto per noi. Per noi è come se la band fosse davvero un arto in più per ogni singolo membro. Abbiamo fondato questa band quando avevamo 14 anni, a questo punto è il nostro legame indissolubile. Siamo dei nerd della musica che comprano e ascoltano dischi da molti anni, quindi troviamo ancora incredibilmente eccitante l’intera “cerimonia” che porta alla pubblicazione di un album. Ci sentiamo davvero come degli adolescenti che pubblicano musica per la prima volta.
Il comunicato stampa allegato al vostro album mi ha fatto sorridere. Parla di “una gamma più ampia di influenze“. E ho pensato al vostro EP di cover del 2021, quando siete andati dai Cure ad Avril Lavigne, passando per i Ramones e gli Starship. Ho sempre pensato che le vostre influenze fossero molto varie! Di certo posso dire una cosa. Forse i The XCERTS non sono mai stati, come in questo disco, così estremi: canzoni esplosive e altre piene di estrema dolcezza, canzoni pop-rock, chitarre, elettronica… insomma, una voglia di sperimentare, di uscire dalla zona di comfort e muoversi senza confini. Forse è questo il pensiero alla base del disco. Mi sbaglio?
No Ricky, hai centrato il punto. Sapevamo di dover dare una scossa al nostro sound e al modo stesso in cui di solito realizziamo i dischi. Non ci interessa guardare al passato, vogliamo guardare avanti, è questo che ci entusiasma. Siamo creativi e la musica è un’arte meravigliosa, non capisco perché un artista voglia riposare sugli allori e non esplorare nuovi territori. Finché siamo onesti e la musica viene da un luogo puro e con il cuore, facciamo quello che vogliamo.
Se dico che, a volte, mi sembra di sentire l’influenza dei The 1975, sto dicendo una bestemmia (“Blame”, ad esempio, a me ricorda molto “Milk” della band di Matt Healy)?
Assolutamente no. Ammiro quella band e sono un loro fan. Personalmente non guardo a loro come fonte di ispirazione, ma siamo tutti di età simile, della stessa generazione e abbiamo un amore e un rispetto reciproco per molti degli stessi artisti, a quanto pare. Quindi, se ci sono delle somiglianze, è probabilmente perché entrambi amiamo Prince tanto quanto i Glassjaw.
Posso confessare che quando ho ascoltato i singoli “GIMME” e “Ache”, ma anche la stessa “Jealousy”, ho provato sentimenti contrastanti: sono canzoni che amo, ma mi ha un po’ infastidito il fatto che fossero così brevi. La prima cosa che ho pensato è stata “ma perché durano così poco?“. Ma ora sento davvero che questa “breve durata” è un punto di forza e non certo una debolezza. Cosa ne pensi?
In tutta onestà non abbiamo pensato molto alla durata delle canzoni. Se erano belle, erano belle. Abbiamo provato ad allungare “Ache”, ma ha perso subito la sua forza quando abbiamo cercato di aggiungerla. Non volevamo che queste canzoni perdessero il loro potenziale. Volevamo lanciare una bomba pop distorta e poi andarcene. Sono anche dell’idea che se puoi dire tutto quello che c’è da dire in una canzone nel minor tempo possibile, perché allungarla? Siamo cresciuti ascoltando i Beatles, i Ramones, la musica Motown, quindi le canzoni brevi non ci sono mai sembrate così fuori dai nostri canoni. “Don’t Act Nice” di Daniel Johnston dura 34 secondi ed è perfetta così com’è. Non tutte le canzoni devono essere l’equivalente di un pasto di tre portate, a volte possono essere una semplice e piccola pepita d’oro.
Che sorpresa trovare Sam Carter nel vostro disco. Non me l’aspettavo. Come è nata questa collaborazione?
Sam è uno dei miei migliori amici da quando avevamo 17 anni. Ne abbiamo passate tante insieme e ho sempre saputo che sarebbe apparso in una nostra canzone, si trattava solo di scrivere quella perfetta e credo che con “Ache” ci siamo riusciti. Appena abbiamo fatto il demo, gliel’ho fatto sentire in un bar con il mio telefono e gli ho detto “questa è quella giusta“. Non volevamo che urlasse, ci sembrava un po’ scontato e la gente pensava che avrebbe fatto così. Penso che abbia un suono incredibile e avere la sua voce su questa canzone in particolare significa molto per me.
Prima ho parlato della varietà del disco. Vorrei soffermarmi su due canzoni che mi fanno venire la pelle d’oca, due magnifiche ballate come “Drag Me Out” e soprattutto “My Friends Forever”. Ogni volta che ascolto questa canzone mi viene quasi da piangere (che idea geniale la tromba!!). È come se le luci si abbassassero improvvisamente, tutto si spegnesse e rimanesse solo la vostra musica. Una sensazione che non riesco a descrivere. Avete sempre avuto una grande attenzione per la melodia, disco dopo disco, ma posso dire che forse, in questo album, avete raggiunto il vostro apice melodico. Cosa ne pensi?
Mi fa piacere, è molto gentile da parte tua dirlo. Ho lavorato molto duramente insieme al nostro amico Julien Flew, con cui abbiamo co-scritto molte delle canzoni, per affinare ogni melodia. Ogni ritornello è stato messo al microscopio per renderlo il più efficace possibile. Credo che con questo disco abbiamo raggiunto un nuovo livello per quanto riguarda le nostre capacità di scrittura. Mi sono sentito molto sicuro fin dall’inizio quando ho lavorato sulle parole e sulle melodie. In passato, mi sono spesso tirato indietro, ma questa volta non c’è stato nulla di tutto ciò, mi sono sentito in perfetta sintonia e iperconcentrato.
Complimenti per “Inhale(her)”, sei riuscito a “soddisfare” anche la mia passione per lo shoegaze. Come è nata questa breve ma bellissima canzone?
Credo che abbiamo iniziato con il ritornello al pianoforte e poi abbiamo costruito il ritmo intorno ad esso. Con il passare del tempo, l’abbiamo glitchata per farla suonare un po’ distorta. Abbiamo discusso se continuare o meno su una strada più tradizionale con la canzone, dato che siamo rimasti fermi sui primi 45 secondi per molto tempo. Un giorno eravamo seduti in studio a riascoltarla e l’outro mi è venuto in mente in un lampo. Ho dato di matto e non riuscivo ad esprimermi perché ero così eccitato dall’idea. Alla fine mi sono calmato, ho fatto un bel respiro e ho spiegato che volevo un enorme muro di rumore accompagnato da una senza batteria. È un vero e proprio momento in cui senti che ti manca la terra sotto i piedi, lo adoro. Per le mie orecchie è estremamente romantico e vuole essere la colonna sonora di vari spezzoni della mia vita uno in fila all’altro. Adoro molte band shoegaze, quindi sono felice di aver soddisfatto questa esigenza!
Guardando indietro, cosa ritrovi dei THE XCERTS del primo (magnifico) album in questo nuovo disco?
Nel nostro nuovo disco sento la purezza e la libertà di noi giovani. Nessuna pressione, nessuna agenda da rispettare, nessuna voce esterna, solo pura espressione creativa. Il DNA di allora è ancora molto presente in questo disco, ma è solo un po’ meno ingenuo e credo con più conoscenza delle difficoltà della vita.
Mi piace moltissimo questo nuovo lavoro, ma posso dire che avevo amato anche la “svolta” power-rock anni ’80 di “Hold On To Your Heart”? Come ricordi quel disco?
Grazie Ricky, lo adoro anch’io. Sono molto orgoglioso di “Hold On To Your Heart”, adoro quell’album. Ripensandoci, credo che quel disco sia stato un faro per noi. Ci ha guidato fino a dove siamo ora e ci ha fatto vivere tante esperienze incredibili sia prima che dopo la creazione. Eravamo così concentrati nel mettere in mostra le nostre capacità di songwriter e sentivamo di avere un punto di forza per dimostrare che potevamo stare con i big. Inoltre ha portato nelle nostre vite Gary Clarke, che amo con ogni fibra del mio essere. È un amico, un mentore e una magia unica nel suo genere.
Grazie mille Murray, ti ringrazio ancora tantissimo per la tua disponibilità. Ho avuto la fortuna di vedervi due volte in Italia, sempre con band molto valide come i Nothing But Thieves e i Twin Atlantic. Volevo chiedervi che ricordi avete dell’Italia e se avremo la fortuna di vedervi nel tour di questo album.
Amiamo molto l’Italia! Abbiamo avuto molte belle esperienze nel vostro Paese e siamo sempre stati accolti così calorosamente dalle persone che abbiamo incontrato agli spettacoli. La gente in Italia è sempre sembrata molto riconoscente e ricettiva nei nostri confronti, anche se non ci aveva mai sentito prima. L’ultima volta che abbiamo suonato a Bologna in apertura ai Nothing But Thieves è stata una festa incredibile. Torneremo l’anno prossimo, lo prometto, e spero di vedervi lì.