Non è la prima volta che viene portata sullo schermo, o anche solo menzionata, l’epidemia da narcotici causata negli Stati Uniti a cavallo tra anni ’90 e ’00 dall’Oxycontin, un oppioide che, non somministrato canonicamente e sotto stretto controllo medico, sortisce praticamente gli effetti dell’eroina.

La miniserie si snoda su tre storyline diverse: la mefistofelica epopea famigliare dei Sackler (i farmaceutuci che misero in commercio il farmaco), l’interminabile e instancabile indagine che cercò di portare la famiglia alla barra, la struggente storia di un meccanico che iniziò ad assumere Oxycontin in seguito a un infortunio per poi ritrovarsi dipendente – quest’ultima probabilmente la piú riuscita grazie all’interpretazione empatica di Kitsch, davvero sorprendente e certamente piú credibile di Broderick nel ruolo del satanasso Richard Sackler.

La miniserie non brilla certo per originalità della messinscena e la sua sceneggiatura pesca a piene mani dalle invenzioni di Adam McKay, con tanti inserti quasi documentaristici iniettati nella narrazione dalle bocche dei protagonisti. Il cast, molto corale, è mediamente molto buono e alcune scene, mi viene in mente quella della festa aziendale, sono scenografate, fotografate e coreografate molto bene.

Nulla di speciale, ma la miniserie intrattiene e, anche grazie a un po’ di pietismo, quando vuole sa affondare il colpo.