Il rapporto tra musica indie ed estetica lo-fi è stretto e di lungo corso. La bassa fedeltà, in molte occasioni, può rivelarsi una scelta stilistica felice, capace di aggiungere un tocco di genuinità in più al lavoro di un artista che non per forza punta a raggiungere un pubblico vasto. Queste imperfezioni “volute”, tuttavia, devono essere congeniali alla proposta per poter funzionare. Altrimenti tutto si risolve in un semplice e alquanto discutibile sotterfugio per guadagnare una sorta di credibilità nel mondo del pop di nicchia. Lontano anni luce dal mainstream, certo, ma con neanche troppa puzza sotto il naso.
Di pretenzioso “The Weight Of A Wave” ha poco o nulla. Annie Hart opera in un contesto chiaramente lo-fi ma, dietro le apparenti sfumature bedroom pop, si nasconde un non particolarmente interessante synth-pop moderno ma dalle tinte ’80s – ultra-melodico ma non mellifluo, anzi a tratti molto amaro e melodico – con fortissimi e un po’ troppo palesi richiami ai New Order. Un’influenza che emerge in maniera netta nelle linee di basso modellate sull’esempio – naturalmente inarrivabile – di Peter Hook.
Nelle dieci canzoni del quarto disco solista di Hart, già componente delle brave Au Revoir Simone, ci sono molti spunti degni di nota. Peccato solo siano sottosviluppati o sviluppati male. I brani, spesso confusi e davvero troppo “poveri” per quanto riguarda la resa sonora, non traggono alcuna forma di beneficio dalla cura lo-fi. Il più delle volte sembra di ascoltare una demo ancora in fase di lavorazione, in bilico costante tra il post-punk meno oscuro e la new wave più elettronica e sintetica.
Annie Hart se la cava in maniera egregia con le tastiere ma sembra avere qualche problema con la programmazione della drum machine che, a tratti, suona un po’ troppo basilare e antiquata. Una soluzione probabilmente cercata ma incomprensibile perché va a intaccare (e non di poco) la qualità di canzoni che, rese in forma diversa e con qualche abbellimento in più, avrebbero fatto una bella figura (penso essenzialmente a “Stop Staring At You” e “Falling”).
Ma i veri punti deboli di “The Weight Of A Wave”, i motivi per i quali è impossibile dare una sufficienza al disco, stanno nelle terribili chitarre elettriche della pur gradevole “A Crowded Cloud” (uno dei pochi momenti rock assieme a “Boy You Got Me Good”) e nella voce di Annie Hart. Massimo rispetto per l’artista, ma i limiti come cantante sono evidentissimi. Amanti dell’indie pop, provate a vostro rischio e pericolo. Sappiate però che non è tutto oro quel che è lo-fi!