Jason Thomas Gordon, leader della rock band Kingsize di Los Angeles, sta per pubblicare “The Singers Talk”, un libro di interviste con alcuni dei cantanti più iconici della musica.
Quando ho iniziato a fare sul serio, mi sono reso conto che cantare era davvero brutale
racconta lo stesso Gordon a Rolling Stone.
Non c’erano risorse per scoprire come i grandi cantanti facessero il loro lavoro notte dopo notte senza danneggiare la loro voce.
Dopo aver incontrato Eddie Vedder una sera a una festa, è nata l’idea del libro e molti grandi nomi hanno partecipato: Bruce Springsteen, Roger Daltrey, Chrissie Hynde, Willie Nelson, Mavis Staples, Ozzy Osbourne, Robert Smith, Geddy Lee, Michael Stipe, Rod Stewart e Steve Perry. Anche Thom Yorke è presente nel libro e Rolling Stone ha pubblicato una bella parte dell’intervista di Gordon proprio al leader dei Radiohead come estratto della pubblicazione.
In questa chiacchierata veniamo a sapere che Yorke non era molto propenso per il canto:
Ero molto appassionato dei Queen, ma non mi sono mai visto come Freddie Mercury. Nella mia testa ero sempre Brian May, sorprendentemente. E la cosa è cambiata perché non riuscivo a trovare nessun altro che lo facesse. Mi piaceva molto la voce di David Sylvian, ma il mio registro non era quello. Era molto più alto. Era una specie di commedia quando cercavo di cantare in quel modo”.
Quando avevo 18 anni, ho registrato musica per la maggior parte del tempo. Poi ho spedito il nastro, che ha vinto, tipo, “Demo del mese” in una rivista musicale gratuita, e la recensione diceva: “Chi è questo ragazzo? Sembra proprio Neil Young!“. E io: “Chi è Neil Young?”. Non avevo mai sentito Neil Young, così sono uscito e ho comprato ‘After The Gold Rush’ e mi sono detto: “Wow! È giusto suonare così?”. Perché lui è leggermente più alto di me come tono, ma c’era una morbidezza e un’ingenuità nella voce che ho sempre cercato di nascondere. Poi ho pensato: “Oh, forse non ho bisogno di nasconderla””.
Yorke aveva visto Jeff Buckley in concerto durante la registrazione di “The Bends” e sicuramente vedere Buckley influenzò il modo di cantare su “Fake Plastic Trees”. Ai suoi compagni di band piacque molto, ma Yorke non ne era così sicuro. Quando gli è stato chiesto se avesse davvero pianto quando ha ascoltato il suo canto, ecco la sua risposta:
Sì, assolutamente. Perché quando registri, stai attraversando una serie di sentimenti, ma l’unica cosa di cui non sei veramente consapevole sei tu. Non sei consapevole della tua identità, quindi è come meditare. Anche quando si suona, se si esegue qualcosa di buono, si prova una sorta di sensazione che va oltre. Non si è nemmeno consapevoli della propria vulnerabilità, si è semplicemente lontani da qualche parte e poi si torna indietro. È come vedersi allo specchio per la prima volta, cogliersi impreparati.
Oltre che parlare della sua avversione per i latticini e l’aria condizionata Yorke condivide anche il suo più imbarazzante momento durante un live:
Una volta abbiamo suonato a San Francisco in un posto molto bello all’aperto, Shoreline. È stato un grande spettacolo, molto, molto divertente. Il pubblico era fantastico. Poi, prima del bis finale, ho fumato una canna con Jonny [Greenwood]. Ho ripreso a suonare “Everything In Its Right Place” e mi sono completamente perso. Credo di aver cantato prima la seconda strofa e poi ho guardato la tastiera dicendo: “Cos’è questo?”. Poi sono andato a cantare la strofa successiva e mi sono reso conto di averla appena cantata, ho guardato gli altri e tutti dicevano: “Tiraci fuori da questa situazione”. Stavo girando intorno al riff, guardando il pubblico, e tutti cantavano le parole, e io dicevo: “Cosa?”. Ero così fatto che mi sono alzato dal pianoforte e me ne sono andato.
Dice poi che la sua performance vocale preferita è “Bloom” dei Radiohead e che se potesse duettare con qualcuno, vivo o morto, sarebbe John Lennon. Quando gli viene chiesto di nominare i suoi cinque cantanti preferiti, elenca Ella Fitzgerald, Nina Simone, Scott Walker, Michael Stipe, Billie Holiday e Tom Waits. “Tom Traubert’s Blues” di Waits e “Simple Twist Of Fate” di Bob Dylan sono le due canzoni che lo portano a piangere.
Insomma…per sapere di tutto e di più su Thom e tanti altri, beh, il libro di Gordon ci pare molto interessante…