Bellezza, perfezione, verità: esistono in senso assoluto? Spesso così si pensa, o almeno in quei concetti si tende a ricercare un qualche senso di oggettività.

Certo si può obiettare che ogni cosa è relativa e che ciascuna ha necessariamente un proprio contesto.

Ma soprattutto, forse potrebbe essere più corretto (e sano) pensare che la misura assoluta non esiste se non idealizzata (e, come tale, da ciascuno in modo diverso) e che ognuno di quei concetti, all’atto pratico, si risolve nella minor approssimazione possibile.

Filosofia, direte voi. Vero, ma “Spirit Of Eden” porta alla mente proprio quella: è un album che esplicitamente sfiora un paradigma puro di bellezza (e di suono), lo accarezza, sembra puntarlo, e però finisce per non incontrarlo mai, galleggiandoci intorno perso nella sua stessa bramosia.

I Talk Talk presero le fortune ricavate dai successi synth pop che li avevano ripetutamente portati in cima alle classifiche e le investirono in infinite ore in studio.

Registrazioni lunghissime, senza spartiti, con numerosi session men chiamati ad aggiungere dettagli provati e riprovati, o improvvisati, ma che poi comunque forse nemmeno avrebbero mai visto la luce del sole; un lavoro interminabile che si trasformò in una altrettanto interminabile e maniacale fase di post produzione mirata a ricavare canzoni (o qualcosa di simile) da quel marasma di singole note, brevi riff, temi incompleti.

Un modus operandi, quello seguito da Mark Hollis e dai suoi, evidentemente slegato da ogni necessità o logica commerciale: in questo senso, ciò che ne venne fuori (“Spirit Of Eden”, ma anche il successivo “Laughing Stock”) rappresenta tutt’ora ciò che di ottimo si può fare investendo non solo risorse economiche, ma anche il proprio credito artistico e la propria credibilità.

D’altra parte, Hollis si era sempre professato grande ammiratore di John Coltrane, di Miles Davis e persino di Claude Debussy. Riferimenti difficili, apparentemente lontani da qualcuno che aveva scalato le classifiche tanto clamorosamente, però propri di un intelletto curioso.

Ma già il precedente “The Colour Of Spring” – con la sua strumentazione, con il suo suono profondo e organico – aveva svelato che i Talk Talk avrebbero potuto ambire a molto di più, magari anche ad unire l’arte (nella sua forma più concettualmente nobile) al successo (il singolo “Life’s What You Make It” fu un notevole exploit internazionale).

“Spirit Of Eden” materializzò quelle influenze portandole all’estremo.

Quanti sono i brani, quale il loro nome, poco importa: in questi 40? tutto si offusca e si confonde, non ci sono confini.

Sono suoni a forma libera, dilatata, un flusso di coscienza. Oscillazioni, pieghe sottili e risvolti. Con la chitarra, con l’armonica, con il brio improvviso della sezione ritmica o con le note che cadono a molta distanza le une dalle altre. La voce di Hollis sembra dolente, o esausta, o sembra dischiudersi e poi ripensarci, comunque pare non avere altro legame se non con ciò che la circonda in quel momento.

Ed è come se nulla, in “Spirit Of Eden”, abbia a che fare con la materialità o con la realtà alla quale è destinato.

(L’articolo, nella sua forma originale, si trova su Non Siamo Di Qui, che ringraziamo per la gentile concessione)

Pubblicazione: 12 settembre1988
Durata: 41:05
Genere: Post-rock, Art rock
Etichetta: EMI
Produttore: Tim Friese-Greene

Tracklist:

The Rainbow
Eden
Desire
Inheritance
I Believe in You
Wealth