Con la recente pubblicazione per la cult indie label 4AD del suo terzo e splendido album “Haunted Mountain“, Buck Meek si è guadagnato di diritto la stima e il consenso per il suo lavoro da solista. Nativo del Texas e trasferitosi a New York per affinare le sue doti di musicista, negli ultimi anni ha scelto la soleggiata atmosfera della California come luogo ideale per lasciar fiorire il suo animo creativo.
Meek, raffinato cantautore nonché membro fondatore dei Big Thief, é di passaggio in Italia per alcune date e lo abbiamo potuto apprezzare live al Circolo Magnolia, che si avvia verso la conclusione della stagione estiva. Dopo aver percorso Regno Unito e nord Europa con il resto della sua band, si é presentato da solo in questa occasione, dicendosi dispiaciuto per aver dovuto sacrificare i suoi compagni di viaggio in questa parte del tour. Poche le persone radunate, seppur molto liete di esserci, l’evento é stato penalizzato forse dal concomitante concerto di Bjork.
La serata inizia poco prima delle 21 con la meravigliosa voce di Germaine Dunes, che già dalla prima nota lascia intravedere l’alba di un grande talento. Catturano l’attenzione in particolare “Holocene Goodbye” e “Midnight Game” brano che intitola il suo album d’esordio, scritto a Los Angeles durante la pandemia, che tra le varie collaborazioni vede la presenza dello stesso Meek. La giovane cantautrice vanta un passato da archeologa, elemento che forse contribuisce alla sua capacità di scavare a fondo tra le emozioni. “The poets are gone, the beaches are vacant” canta con Germaine, evocando la nostalgia di un mondo che va scomparendo, dove raccontare la poesia sembra essere diventato infinitamente meno importante del fare rumore con parole spesso vuote di significati più profondi.
Alle 21.30 il palco é tutto per Buck Meek ed è subito evidente che non ci troviamo di fronte soltanto ad 1/4 dei Big Thief, ma ad un cantautore maturo e dal suono elegante, in grado di catturare l’attenzione con la sua voce ricca di sfumature che lascia trasparire ogni emozione.
Scioglie il ghiaccio con un “Ciao” e inizia intonando la bellissima “Pareidolia”, termine che indica il processo cognitivo che ci induce ad un’elaborazione fantastica di percezioni reali incomplete, come individuare forme nelle nuvole “The clouds are moving fast Sippy, tell me what you see” e che é matrice ricorrente dei suoi testi. Un’ora di set minimale in cui esegue 15 brani, tratti prevalentemente dagli ultimi due album, avvalendosi di un’unica chitarra, una delle sue fedeli Collings semi acustiche, che sarà protagonista dell’intera serata. Come background solo un velo di fumo su cui si stemperano i colori evanescenti delle luci ed é stato incredibile osservare quante armonie sia riuscito a costruire seppur in versione solo.
Alternando brani tratti da “Haunted Mountain”, che vede la parziale collaborazione nella scrittura della magnifica cantautrice Jolie Holland con cui condivide le radici Texane, a brani del precedente “Two Saviors”, l’ispirato Meek riceve sinceri applausi per ogni esecuzione, tra cui risaltano particolarmente le delicate melodie di “Secret Side”, “Didn’t Know You Then” e “Undae Dunes”.
Con le sue movenze caratteristiche, il sorriso aperto e sincero e la mano che sembra quasi voler dipingere gli accordi sulla chitarra mentre suona, si direbbe una persona felice, che riversa nella sua musica tutte le emozioni e illuminazioni che lo attraversano come un fiume in piena, spesso accarezzate da un cielo stellato, come canta in “Dream Daughter” uno dei brani più belli tra quelli eseguiti “Moon fall, I swear I saw gold behind the stars”, che sarebbe stato probabilmente ancora più prezioso con la presenza della pedal steel di Mat Davidson. C’é lo spazio anche per inserire un inedito “Beauty Open Doors” e per una digressione alle origini con “Miss Misty”.
Buck Meek è stato in grado di regalare emozioni intense aprendo le porte del suo mondo interiore, capacità che rimanda al miglior cantautorato nella sua cognizione più pura, avvalendosi esclusivamente della forza evocativa della sua voce e di un unico strumento. La resa minimale di chitarra e voce non ha certo sminuito la bellezza dei brani, dirigendo forse maggiormente l’attenzione sulle immagini che evocano i testi, anche se la presenza della band avrebbe permesso di apprezzare maggiormente gli elaborati arrangiamenti presenti sugli album.
Ha invitato inoltre i presenti a salutarlo dopo il concerto dimostrando grande disponibilità e gentilezza e una sincera attenzione verso il suo pubblico. L’intimo set si é concluso con l’encore di “Two Moons” e “Cyclades (Stories Version)” con variazione sul testo rispetto alla studio version e che nel ritornello “There’s too many stories to remember/ Too many stories to tell“ ci ricorda che in fondo prendere in mano una chitarra significa anche tramandare storie, nelle loro infinite varianti. Senza dubbio un astro della contemporary folk music americana, è stato un piacere poter apprezzare i suoi brani in questa veste “stripped down” e ci auguriamo di ritrovarlo in futuro magari con la sua band al completo.