Basata sul libro, acclamatissimo e lettissimo in patria, di Romy Hausmann, questa miniserie in sei episodi di Netflix Germania è un gran bel vedere. Specie per chi sente la mancanza di quei bei thrilleroni cupi che spopolavano a cavallo tra i due millenni e non se ne fanno più tanti.
Anzitutto va detto che non c’è solo thriller in “Liebes Kind”, ma anche un bel po’ di horror, come nei succosi flashback durante la prigionia, ma anche nelle parti che riguardano il reinserimento di una bimba non proprio rassicurante in un contesto di normalità.
Gli sceneggiatori hanno gestito molto bene sia l’utilizzo dei vari registri, che dei molteplici piani temporali che si affastellano mediante un insistente uso dei flashback, riuscendo però a fermarsi giusto un filo prima che diventasse troppo.
Molto riuscite le interpretazioni di tutti i personaggi, tutti belli fottuti, ombrosi, sotto benzodiazepine e, chi più chi meno, con qualcosa da nascondere e un bel bagaglio di sensi di colpa.
Poi a me piace molto anche la NRW, quindi è stato affascinante vedere il lato oscuro delle varie Düsseldorf, Aachen (Aquisgrana), Duisburg.
Non tornano un paio di cosine a livello dell’intrigo, ma magari è così anche nel libro. E comunque sono minuzie o non ho capito io.