E’ puro senso di beatitudine quello che ci avviluppa nell’ascolto dell’esordio dei Bleach Lab. La formazione londinese mette a frutto anni di EP ed esperienza sui palchi inglesi per confezionare un prodotto di altissimo valore artistico ed emozionale, figlio legittimo e credibilissimo di quelle trame che band come Sundays, Cocteau Twins e Mazzy Star hanno saputo consegnare alla storia.
La parte del leone la fanno la chitarra di Frank Wates, che sembra cresciuto a pane, Johnny Marr e David Gavurin e la voce di Jenna Kyle, così morbida e vellutata che pare accarezzarci ad ogni brano, anche quando parla di cose tutt’altro che piacevoli o solari come rapporti malsani, turbamenti pesanti, dipendenze, amori naufragati e sconfitte personali. La combinazione di questi due elementi, sostenuti dal resto della band che viaggia alla perfezione nel ricamo ritmico, senza strafare ma con padronanza assoluta, crea canzoni dal sapore empatico immediato. Perle malinconiche che ammaliano, catturano, ipnotizzano con una magia inesauribile che scaturisce da percorsi melodici che fin dal primo ascolto ci appaiono chiari e lampanti.
Non si snatura la band, non cerca di muoversi dalle zone che ci aveva già mostrato nelle precedenti prove (forse sono meno pop e sbarazzini di quanto avevamo sentito nell’ EP “If You Only Feel It Once”) ma la cosa è da vedere come la solida maturazione di un sound, che ora, pur tra rimandi evidenti, si fa personale e diventa “quintessenzialmente Bleach Lab“!
La musica dei Bleach Lab è delicata ed eterea, realizzata con lo stesso materiale dei sogni più preziosi, quelli che alla mattina ci rimangono ancora in mente perché ci hanno riempito il cuore di emozione. Ma non mancano anche sferzate più rabbiose come in “Nothing Left To Lose” o passaggi densi di epicità suggestiva come il ritornello di “Everything At Once” (in questo brano Jenna esprime una versalità pazzesca), canzone che potrebbe appartenere ai Desperate Journalist più evocativi.
Il disco si chiude in modo incantevole con “Life Gets Better”, vero e proprio viaggio in un paradiso guitar-pop, un sogno che si potrebbe protarre all’infinito, in una coda strumentale che ci lascia senza fiato, mentre gli occhi si chiudono e noi voliamo, trasportati da tanta grazia chitarristica.
Uno degli esordi più belli dell’anno.