Ma che bello il nuovo album dei Soft Science. Accattivante, fresco, incalzante. La band di Sacramento sforna un disco adatto ad ascolti ripetuti perché fin da subito è scorrevole e ricco di melodie molto piacevoli. Un disco non pretenzioso o particolarmente elaborato, ma nel quale ogni canzone sa reggersi in piedi con le proprie gambe in modo importante, grazie a melodie sempre felicissime.
I ritmi sono spesso alti, le chitarre disegnano parabole intriganti che vanno a pescare da nomi tutelari che ben conosciamo ma non per questo il tutto ci pare una mera copia carbone, anzi. La band è in forma, prende le influenze e le gestisce alla perfezione, in un sound che, a tratti, sembra voler infondere vigore e forza a trame più vicine al dream-pop.
Quando parlavo prima di giri di chitarra che si stampano subito in testa parlavo di brani come “Grip” o “Kerosene”. la prima pare quasi uscire dalla penna dei Monaco di Peter Hook (ve li ricordate?), mentre la seconda ha proprio nell’interazione tra chitarra e synth scintillanti il suo punto di forza. Ma le perle non mancano: la forza oscura di “Deceiver”, che tra forze più dalle ombre e dal suo aspetto riflessivo più che dalla luce che spesso è forte nel resto dell’abum, oppure “Hands” che potrebbe appartenere ai primi Charlatans visto il groove che trabocca o ancora le suggestioni più classiche di un brano come “Zeros”, che racchiude in sè tutti i punti ottimali per la perfetta canzone dream-pop, così come invece “Stuck” è perfetto emblema di una costruzione shoegaze, con il feedback al punto giusto.
Ma la varietà sembra essere proprio il punto di forza di questo “Lines”, perché si soddisfa sia chi cerca l’atmosfera più eterea (“Low”) sia chi non può fare a meno dei richiami ai J&MC (“True”), ma se i fratelloni Reid puntano sul rumore e l’oscurità ecco che i Soft Science si fanno zuccherosi e solari.
Promossi a pieni voti i cari Soft Science in un disco che credo ascolterò davvero molte, molte volte.
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