Credit: Danny Lowe

Lo scorso 21 settembre abbiamo incontrato Ethan P. Flynn, eclettico songwriter e produttore nativo dello Yorkshire, con già all’attivo illustri collaborazioni con autori del calibro di David Byrne, di passaggio a Milano per presentare in anteprima il suo nuovo disco e abbiamo colto l’occasione per fargli qualche domanda e scoprire qualcosa in più del suo mondo e del suo processo creativo. 

Ciao Ethan e benvenuto in Italia!  Siamo molto lieti di averti con noi e grazie per il tempo che stai dedicando a Indieforbunnies.
Ciao, é un piacere essere qui.

Iniziamo parlando del tuo nuovo album “Abandon All Hope” che rappresenta uno straordinario debutto, dopo aver ricevuto numerosi consensi per gli eccellenti lavori che hai pubblicato in precedenza. Sembra che a soli 25 anni tu abbia già attraversato molto, parli di disillusione e del lasciare andare i fallimenti nella vita. Puoi descriverci quei sentimenti?
Volevo che suonasse come un viaggio tra il desiderio e la risoluzione. In passato avevo già parlato di come le canzoni possano essere molte cose allo stesso tempo e stavo pensando molto a quello mentre lo scrivevo. É come se fosse una sorta di diario di quella parte della mia vita in cui sono avvenuti numerosi cambiamenti. Ho attraversato un breakup importante e stavo cercando di documentare una parte di ciò nella musica e non provavo a farlo solo con le parole, é come se tutto inclusi gli accordi in qualche modo fosse il riflesso di quel sentimento, come un’unità.

Abbandonare ogni speranza, titolo significativo in tempi come questi. Non sembri aver paura di esporre la tua vulnerabilità eppure i tuoi testi suonano potenti, in cerca di quella speranza che sembrava perduta. Penso alla frase in cui affermi “Don’t let the bad weather outlive you”. Senti che con questo album qualcosa é cambiato nel tuo modo di scrivere? 
Si, c’é decisamente molto di più. Nei miei precedenti lavori scrivevo le tracce strada facendo. Stavo producendo materiale per gran parte del tempo provando a cantare sopra di esso. Con questo album ho scritto tutto prima di entrare in studio. Abbiamo registrato in pochi giorni e sapevo esattamente come desideravo suonasse e cosa volevo fare prima di farlo. La differenza principale è proprio quella. Abbiamo registrato anche molti altri brani che probabilmente usciranno in futuro.

Ho notato che nella copertina del disco c’è una figura che stringe un volante e in entrambi i video di “Bad Weather” e “Abandon All Hope” tu stai guidando un’auto, quella favolosa Mustang rossa anni ’60, mentre nella copertina del singolo “The Universal Deluge” eri su una barca. Sono forse metafore di come affrontiamo il viaggio della vita?
Riguardo al discorso dell’auto, ho sempre trovato che il modo ideale di ascoltare musica è quando sono in macchina. Mentre stai guidando il tuo focus é orientato su una cosa, ma hai comunque abbastanza spazio nella tua mente per far entrare qualcos’altro senza che il tuo focus sia mai completamente interrotto. Perciò ho sempre pensato che guidare si accompagni perfettamente con la musica, ho imparato a 17 anni e ora ne ho 25 per cui sono otto anni che lo faccio.

Tim Brawner aveva già realizzato un dipinto con l’immagine di un uomo che guidava un’auto e desideravo mantenesse quell’idea, perché quella era la mia preferita tra le immagini [delle opere] di lui che avevo visto e successivamente in qualche modo l’ha ricreata. Quando si è trattato di realizzare il video, dato che mi piacciono molto i video con delle macchine “cool “, abbiano voluto conservare quell’idea e nel realizzare “Bad Weather” stavo ricreando l’art cover dell’album.

Il tema del viaggio è decisamente presente. “Universal Deluge” era incentrato sul tema dell’acqua e dell’alluvione. Ci sono diverse immagini che abbiamo creato per quel disco e in una di quella serie sono come seduto in una barca mente l’alluvione sta arrivando, come dire “sono pronto”.

In questo nuovo album la corrispondenza tra visual art e musica è evidente...
Si, ho inviato a Tim l’intero album e lui ha dipinto mentre lo ascoltava, concentrandosi sulla musica.

Entrando nella sfera personale, ricordi uno specifico momento o magari un disco che ti ha fatto desiderare diventare un songwriter?
Non ho mai pensato a me stesso come ad un songwriter, ho sempre voluto essere un produttore e un chitarrista, non ho realizzato di esserlo finché non ho iniziato a fare le collaborazioni che ho fatto. Quando ho lavorato con FKA Twigs come songwriter avrei tanto voluto lavorare con lei come produttore, ma abbiamo realizzato ad un certo punto che scrivevo insieme a lei, perché sono sempre stato un musicista e ho sempre scritto il mio materiale e quando ho compreso che potevo essere un songwriter questo ha avuto un grande impatto nel modo in cui scrivo la mia stessa musica. Da quel momento ho iniziato a pensare a me stesso come ad un autore di canzoni. Ho iniziato ad ascoltare i classici, come ad esempio ogni album di Bob Dylan e di Neil Young e nel farlo mi sono reso conto che più di qualsiasi altra cosa desideravo essere qualcuno che scrive canzoni.

Se ti venisse data la possibilità di scegliere un artista del passato o del presente con cui lavorare, chi sceglieresti?
Questa è una domanda importante. Devo pensarci per un istante…

Ci sono moltissime persone che mi vengono in mente.  

Direi Lou Reed. Di certo è tra i più famosi, ha avuto anche uno straordinario album prodotto da David Bowie. C’erano decisamente molti lati diversi nella sua musica. Persino “Lulu” l’album con i Metallica, mi piace molto quell’album, so che quasi tutti lo odiano ma penso sia stato valido sotto alcuni aspetti, meno in altri. È stato decisamente uno dei migliori autori di testi di sempre.

“Crude Oil” é la traccia più lunga del disco ed é anche il nome che hai scelto per fondare la tua etichetta discografica. Evoca l’idea di qualcosa di incontaminato e grezzo da cui raffinare qualcosa di unico. È stata pensata come un collettivo creativo indipendente, perciò qualcosa in più rispetto ad essere solo un’etichetta. Stai pensando di creare connessioni tra musicisti e visual artists per i tuoi futuri progetti?
Sicuramente. Non è mai stato in realtà tra i miei progetti gestire un’etichetta discografica, ma ora che la cosa è stata avviata ho avuto molti incontri con delle band e mi sembra molto interessante non essere solo al centro, ma essere il tipo di persona che fa in modo che le cose avvengano. Penso che il futuro delle etichette e anche solo il modo in cui avviene un’interazione e come consumiamo la musica é destinato a cambiare radicalmente rispetto a come è oggi e sarebbe bello essere coinvolti perché viviamo in un’epoca dove non c’é davvero più nulla che separi l’artista dal pubblico. Ci sarà sempre posto per le etichette e sarebbe bello essere parte di un futuro in cui renderlo più favorevole per tutti.

Parlando di influenze, chi sono stati i tuoi eroi se ne hai avuto qualcuno in particolare?
Non saprei, verrebbero in mente ovviamente persone come David Bowie. Mi piacciono le persone che hanno discografie lunghe ed evoluzioni. È lui quello che indicherei. Quando si considera qualcosa come “Blackstar” il suo ultimo album, penso fosse magnifico. Nessuno ha fatto un album del genere in un secolo. È un artista che ha creato così tanti classici, ma non solo quello. Tutto ciò che gli rimaneva da dire con il resto della sua vita lo ha inserito tutto dentro a quell’album.

C’é un video che hai postato in cui mostri un organo Hohner vintage con del nastro adesivo applicato sui tasti, é forse un approccio sperimentale che utilizzi per creare dei samples?
Ho molto materiale di quel genere, si quello era un drone che stavo realizzando. Con alcuni synths e organi puoi mantenere il sustain all’infinito, ma dato che quell’organo è un harmonium con un motore all’interno ho dovuto mettere il nastro per creare il drone. Non l’ho fatto molte volte. Ce l’ho ancora, ho parecchio materiale vintage di quel genere in casa mia.

Un’altra domanda che riguarda gli strumenti, dato che ne suoni diversi. Ne hai uno a cui ti senti particolarmente affezionato o che magari ha una storia importante per te? 
Recentemente mi è stata rubata una chitarra, non era forse la mia preferita ma vorrei poterla suonare ancora. Suonavo il clarinetto e ho imparato a suonarlo dopo che mio nonno è morto. Non lo conoscevo molto bene ma mi é stato donato il suo clarinetto perché ero l’unico musicista, lo conservo ancora ed è qualcosa a cui tengo molto.

Da dove trai l’ispirazione per ciò che scrivi? Oltre agli eventi della tua vita, forse anche ciò che accade nel mondo o dei film che ti piacciono rientrano a far parte dei tuoi testi? 
Penso che tutto ciò che ruota intorno all’ispirazione sia un sentimento. Un’emozione. Tento di non collegarmi troppo alle cose che innescano l’emozione. Se qualcosa mi entusiasma o mi rende felice non mi soffermo a pensare che la felicità sia il film che sto guardando. È semplicemente felicità. E penso che l’ispirazione sia semplicemente un sentimento, non potrei mai ricordare esattamente quale. Ho scritto molti testi mentre guardavo film o ero fuori per strada, in gallerie d’arte o quando sentivo qualcosa che mi coinvolgesse, ma non penso mai di aver preso un’idea da qualcosa di specifico.

Pensando alle parole di “In Silence” sembra essere scritta per qualcuno che aveva forse perso la vita e con cui cercavi di riconnetterti?
Ci sono certamente delle persone che conoscevo che sono morte, ma quella canzone non è relativa ad una specifica persona. Stavo provando a scrivere una canzone su dei sentimenti riconoscibili e a farlo in un modo che non fosse stato descritto con quelle parole in precedenza. Molti pensano sentendola che sia una canzone su un breakup, e in qualche modo lo è, ma a è anche sul cordoglio e su numerose altre cose.

Sei stato paragonato a grandi songwriters del passato come Harry Nilsson e Randy Newman per citarne alcuni, ma con questo album sembri aver trovato un tuo linguaggio e il tuo personale modo di esprimerti. Come vorresti essere ricordato tra cinquant’anni?
Per aver fatto musica. Ho sempre voluto fare degli album. Suono live, suonerò stasera qui, ma quando penso a me stesso ciò che voglio fare é in studio creando musica. Sarebbe bello essere ricordato per un disco, che sia questo o meno, ma continuerò a farne perché mi procura gioia. Non é detto che le persone ascolteranno ciò che faccio, ma sarebbe bello essere riconosciuto per aver creato una serie di album. 

C’é una canzone che preferisci su questo album o con cui ti identifichi in particolare?

Varia di giorno in giorno, decisamente penso che “Crude Oil” sia la migliore perché è la più lunga, la più forte e il brano che contiene in sé più elementi.  “No Shadow” e “Demolition” sono invece le mie preferite tra quelle di durata normale.

Su alcuni brani c’é Ava Gore che canta insieme a te e le vostre voci si amalgamano perfettamente. Come è stato lavorare con lei accanto?
Volevo fosse presente l’elemento femminile, molta della mia musica ha delle voci femminili. In questo disco volevo che tutta la parte vocale femminile appartenesse ad un’unica persona e Ava è un’ottima cantante. Ho scritto tutte le parti, lei suonava la batteria nella band con cui suono live, la prima canzone che abbiamo registrato è stata “No Shadow” eravamo solo io e lei in studio perché suona la batteria su quel brano. Lei è stata presente per tutto il tempo durante le registrazioni ed è stato molto positivo.

Un altro tema dell’album è la solitudine. Forse avere qualcosa da condividere con qualcuno é stato importante e il significato di fondo non era abbandonare la speranza, ma ritrovarla. 
Oh si, lo é assolutamente.

Hai delle date già pianificate a novembre per il tuo tour nel Regno Unito e in Europa?
Sì, ho in programma un grande tour con la band a Novembre, ma stasera suonerò da solo. Ho suonato parecchio quest’anno, sto scrivendo molto materiale nuovo e sarà bello suonarlo davanti al pubblico.

Ci sarà tanto altro da scoprire allora. Grazie per il tuo tempo e citandoti “Se questa è la fine, potrebbe essere un buon inizio”.
Ah si come le parole nel testo. Grazie a voi.

“Abandon All Hope” in uscita oggi 6 Ottobre, via Young 

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