Nonostante i proclami dei mesi passati, nonostante la lungaggine del titolo, questo “It’s the End of the World but it’s a Beautiful Day”, nuova fatica dei Thirty Seconds To Mars, non convince. Anzi. Si tratta di un vero e proprio passo indietro rispetto ai precedenti lavori dei fratelli Leto. Col senno di poi potremmo affermare che “Stuck”, primo singolo estratto, aveva già rappresentato una sorta di avvisaglia riguardo al percorso intrapreso dal duo americano, fatto di poca sostanza e tanta, tantissima fuffa, un concentrato di suoni dalla facile presa e di ritornelli pop dall’acchiappo immediato, ma sterili. Telefonati. Dozzinali. Di certo non basta arruolare (in fase di scrittura) Dan Reynolds degli Imagine Dragons per assicurarsi una hit e del pezzo (“Life Is Beautiful”) realizzato in collaborazione con il cantante di Las Vegas, se ne poteva fare volentieri a meno.
In “Seasons”, invece, ci sembra di ascoltare una band completamente diversa rispetto a quella che, in passato, ha sfornato brani quali “The Kill”, “Hurricane”, “Closer To The Edge”, solo per citarne alcuni. Più vicina all’odierna EDM che ai fasti di un tempo. Un po’ di luce (fioca) la si intravede nella buona melodia di “World On Fire” (che vede la partecipazione di Ed Sheeran). Nulla di trascendentale, sia chiaro, ma si tratta di una traccia che si avvicina quantomeno alle cose migliori di “America”, penultimo lavoro della band. La stessa “Avalanche”, nel suo incedere deciso e senza fronzoli, riesce a spiccare e ad emergere dal resto dei brani presenti nella tracklist.
Ci pensano i coretti presenti in “7:1″, però, a riportarci subito alla mesta realtà di un album che offre ben pochi spunti e fin troppi punti interrogativi. Che ne è stato dei Thirty Seconds To Mars più sperimentali e fuori dagli schemi? Gli anni passano per tutti, ci mancherebbe, e gli ultimi tre album della band losangelina non avevano brillato come quelli degli esordi. Nulla di neanche lontanamente avvicinabile, però, alla pochezza di idee di “It’s the End of the World but it’s a Beautiful Day”. Per non parlare della vacuità dei testi, dove Jared Leto, raramente, era apparso così poco incisivo.
Insomma, dispiace scriverlo, ma l’opera sesta dei Thirty Seconds To Mars è un passaggio a vuoto. Quasi un punto di non ritorno. E hai voglia a citare Andy Warhol tra le varie fonti di ispirazione. Non basta, infatti, citare un genio per apparire come tali. Una delle componenti del fascino misterioso di Jared Leto, era stata proprio quell’aurea da artista genialoide, per l’appunto. La genialità, però, è come l’acqua, se la sfrutti male la sprechi. E “It’s the End of the World but it’s a Beautiful Day” è un’occasione sprecatissima.