Ci si potrebbe interrogare ore e ore sul significato di questo quinto album targato Follakzoid , entità oramai facente capo al solo Domingæ, artista cileno di stanza a Mexico City, e comunque si arriverebbe a sostenere le più disparate conclusioni ognuna abbondantemente motivata da ragioni più che condivisibili, senza venirne a capo venendo fagocitati dall’ennesimo ascolto per cercarne di capire il significato.

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Forse proprio questo, ragionandoci, è lo scopo nascosto di Follakzoid, giunti al rinnovato sfiancante appuntamento sul senso della loro produzione che, da quanto emerge nei vari comunicati stampa, viene esaltato per il costante tentativo di minimizzazione strumentale del percorso artistico che induce ad una maggiore elevazione trascendente.

Tutto vero e assolutamente condivisibile, si sente una grandissima opera di post produzione che permette a questo magma di essere condensato pur rimanendo stratificato nei diversi livelli di suono, chitarre, synth, ritmi, e tutto questo permette di non distrarsi mai e di connettersi senza respiro all’emotività suscitata dal flusso sonoro.

Io so solo che quando metto su questa roba, è come se non mi servisse niente per descriverla, niente per capirla, niente per farmi dire che cos’è, non c’è bisogno di conoscenze nè di background musicale, è linfa per il delirio della routine quotidiana, è un antidoto di evasione, puro lusso post rave di straniamento e rifugio dall’alienazione, una vera trascendenza psichica spirituale che in questo degradante isolazionismo digitale, ci pone di fronte ad un concetto di tribalismo antico e eccitante, come se i ritmi, i loop delle voci che si sentono in “V” fossero dei richiami dalla foresta, una specie di eco a base di techno e trance che rapisce e allontana dal verdetto scontato della quotidianità, come se ci trasformassimo senza opposizione nel nostro Kurt Russel in “Fuga da New York”, in fuga dalla realtà scontata, in fuga verso la libertà violenta, insomma una perfetta soundtrack per le giornate in cui il livello di sopportazione è saturo e si ha solo voglia di niente fuorchè questa roba qui.

Se dietro a tutto questo c’è un superlavoro quasi quasi non importa, di sicuro c’è e come detto si sente, ma l’egoismo che ogni tanto si cerca di trattenere nel giudicare opere come queste ci permette tranquillamente di dire che album come “V “sono boccate di ossigeno allucinatorio che rinvigoriscono, pronti per la prossima recensione.