Sinceramente non è neanche la inusuale sfiancante lunghezza, neanche la stranezza di certi passaggi a vuoto, è proprio l’idea abbastanza palese ma non si sa quanto consapevole, di voler dare una nuova sembianza al progetto Animal Collective che rende questo “Isn’t it now?” la brutta copia di quello che avrebbe douto essere, e forse è meglio così, tanto basta per archiviare quella formidabile band di liquido entusiasmante psych electro che fu, non è così ora?
Che poi la sensazione che ne esce dall’album non è neanche quella di svogliatezza o mancanza di idee, sembra proprio anzi che i nostri dimostrino di volersi raccogliere di più che in passato attorno alla loro strumentazione, di dare una parvenza della dimensione di una band più accorta, dove le tastiere, i ritmi le chitarre entrano al punto giusto e risaltano nell’insieme delle parti, cosa che si sente dall’illusorio invitante esordio di “Soul Capturer”.
Ma, come dire, le ipotesi non portano a dei buoni fini, l’approccio determina un risultato che scarseggia e a parte le due, tre solite simpatiche rivisitazioni melodiche alla Beach Boys in salsa tropicalia anni 90, il tentativo di porre una nuova vis per Animal Collective si dimostra insufficiente, come se la difesa della nuova ispirazione si scontrasse con la sua mancanza, come se la band si fosse chiusa a riccio dentro un cul de sac su cui poii inasprirsi: ne sono prova l’estenuante “Genies Open” e soprattutto la quasi insostenibile “Defeat” con i suoi 21 e passa minuti di beata incomprensibilità.
Per non parlare della beffa finale “Kings Walk”, 5 minuti di un chours a cappella dei nostri, dimostrazione di una volontà da finale epico, che invece lascia una sensazione beffarda di averci capito poco di quanto fino a lì prodotto, autorizzandoci a porci di fronte ad un inaspettato addio, un arrivederci incredulo ma di cui bisogna amaramente prenderne atto.
E’ proprio così ora.