Momento decisamente importante per Brian Eno che, oltre ad essere stato premiato con il Leone d’Oro alla carriera, ha presentato in anteprima il suo primo tour in carriera al Teatro La Fenice di Venezia.
E’ andato in scena “Ships” (spettacolo appositamente commissionato dalla Biennale Musica grazie al Direttore Artistico Lucia Ronchetti), adattamento orchestrale dell’ispirato “The Ship”, l’album pubblicato nel 2016 dalla Warp. Il disco rappresentava un viaggio simbolico dedicato al viaggio delle navi, della natura umana e delle guerre (il riferimento è in parte dovuto all’opera di Gavin Bryars “The Sinking of the Titanic”), con suggestioni sonore di ombre, onde, anime, voci evanescenti, vuoti e pieni, tensione e redenzione, paesaggi e gradazioni, scenari storici e interiori. Qui “The Ship” trova una nuova vita, nell’esecuzione del concerto evento (mai parola è ben spesa in questa occasione), partendo proprio dal luogo scelto per la “premiere”: Venezia. Porto sicuro per turisti ma anche metafora mutevole del mistero, dei sussurri tra le calli, delle dominazioni passate, di tragedie trascorse, dei campanili in lontananza.
Cornice indubbiamente seducente, grande attesa tra i fan per gli spettacoli (due!) previsti nella stessa giornata, sold out da mesi. Nella giornata veneziana di sole anche l’acqua alta fa capolino nelle calli vicine al Teatro, quasi un presagio a corollario dello show. Spente le luci, dai due lati del palco entrano ad uno ad uno, i flauti e gli ottoni dissimulando barche tra la nebbia notturna, seguiti da violini in lontananza come onde, stratificando queste emergenti componenti oniriche, come se l’acqua si estendesse all’interno del Teatro.
In una penombra di luci blu dai contorni sfumati, entra dopo qualche minuto la figura di Eno, che oltre ai quaranta elementi della Baltic Sea Orchestra diretta da Kristjan Järvi (che conduce essenzialmente senza spartito), supervisiona il palco insieme alle tastiere del polistrumentista Peter Chilvers e alle chitarre di Leo Abrahams. Da qui la prospettiva onirica del lavoro originario si trasforma in materia, innalzando nuove maree sonore e trasportando lo spettatore in sorprendenti coralità magmatiche. Dalle profondità, gli strumenti a corda si mutano in moti ondosi, gli ottoni in vento sostenuto, da field recordings giungono suoni di sirene, sibili, scricchiolii inquietanti, campane lontane come anime alla deriva. Tra passaggi liquidi e umori fluttuanti della prima parte dello show, segnata dalla voce filtrata di Eno (modificata live dal palco) e le voci di Melanie Pappenheim e dell’attore Peter Serafinowicz si giunge al momento più drammatico in cui si richiede allo spettatore una attenzione più presente, una consapevolezza dell’orrore e della brutalità dei nostri tempi, dove l’umanità si rivela irriconoscibile ai simili, alla deriva, incoerente. Appunto, come una nave in balia di sé stessa.
“State lottando, ma per quale destino?” canta Brian Eno e il paesaggio ambient, da evocativo a cupo, si innalza nel terzo movimento per potenza ed emotività e gli elementi dei colori orchestrali e della natura simulata si incendiano in luci e percussioni che si espandono per trasformarsi in tempesta, guerra, metallo in decomposizione.
Poco rassicurante, in sala rimane solo il silenzio. Incorporeo e inabissato.
L’interpretazione del classico dei Velvet Underground “I’m set free”, arriva liberatoria rasserenando la tensione il pubblico in chiave gospel/ambient: “Mi avevano accecato, ma adesso sono di nuovo libero, libero per trovare una nuova illusione“. Anch’io mi commuovo da questa traduzione orchestrale, cullato dalla prima vera canzone dello spettacolo. Torna il sereno, la melodia incanta. Arrivano scroscianti, gli applausi e le emozioni. “Nel pubblico vedo chi si aspettava un tranquillo concerto di musica ambient e non così tante esplosioni sonore“, enfatizza dal palco Eno rallegrato che continua: “E’ la prima volta che portiamo questo spettacolo dal vivo ed è piuttosto difficile: ma ce l’abbiamo fatta grazie a questa sorta di orchestra versione gorilla“.
Dopo la consueta presentazione dei collaboratori, si riparte: “Ora vorrei cantare un pezzo che ho scritto molto tempo fa“. Come primo bis arriva“By this River” (brano conosciuto per far parte della colonna sonora de “La Stanza del Figlio” di Nanni Moretti). River appunto “fiume”, il tema dell’acqua torna in questo famoso ed elegiaco brano adattato intimamente per pochi strumenti, ecco l’acqua di “Ships” che ritorna alla sorgente. Ma a sorprendere sono anche le altre proposte nell’ampia seconda parte del concerto, “Who Gives a Thought “ e una versione di “And Then So Clear” (datata 2005) con Brian in versione vocorder, ritmata dalla funambolica presenza del direttore d’orchestra Kristjan Järvi che balla e scandisce il tempo. Scatta la Standing ovation per Brian Eno (decisamente fuori dal ruolo dello sperimentatore nella torre d’avorio), compagnia suonante e la bravissima Orchestra Estone. A seguire altri due brani da “Foreverandevenomore” (il disco del 2022 che ha ridisegnato la cartografia del musicista inglese): “Making Gardens Out of Silence” e “ la conclusiva e maestosa “There Were Bells”. Anche qui un riferimento cangiante ad un elemento di “Ships”: le campane. A seguire altra Standing Ovation e applausi scroscianti inclusi.
Concerto memorabile per la densità, la coralità e il coraggio di affrontare con spirito collaborativo sfide sorprendenti.
Durante la premiazione con il Leone d’Oro alla carriera, ricevuto il 22 ottobre nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian dal presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, il 75enne musicista inglese ha dichiarato:
Non mi sento un maestro. Non mi sento un genio. Nessuna idea viene da una persona sola e ogni idea ha radici complicatissime. Mi sento solo uno che ha avuto tanta fortuna.
Riferendosi poi a “Ships”, l’evento commissionato dalla Biennale e presentato in prima mondiale, Eno ha sottolineato che
la Biennale ha una tradizione di sostegno a tutte le arti e ogni musicista vuole suonare in Italia. Il pubblico fa parte dell’evento e ieri sera ho sentito la cultura italiana alle mie spalle a sostenermi, perciò ero sicuro che non avrei fallito.
Auguriamo (concludendo) al buon Brian di avere ancora tanta fortuna e di deliziare il suo pubblico con altra buona musica e le sue idee, che riesce ancora benissimo (come in questo caso) a sbrogliare con entusiasmo.