Torna Edoardo D’Erme in arte Calcutta con il suo quarto album, il terzo sostanzialmente da quando le cose si sono fatte serie sotto la direzione della lungimirante Bomba dischi, questo “Relax” esce, così, senza singoli ed anticipazioni, esattamente a 5 anni dal precedente, il fortunato “Evergreen”, e visti i tempi frenetici, trattasi di un’interruzione atipica.
Lui lo conoscono tutti, è l’artista spartiacque tra la vecchia e la nuova discografia, prendendo il testimone dai I Cani (In qualche modo, forse, il progetto antesignano di questo discorso), è stato proprio il sorteggiato, non tanto per il contenuto, ma semplicemente per il ruolo, quello che ha portato allo sdoganamento dei confini tra il fantomatico mondo indipendente e il mainstream, grazie ovviamente all’arrivo degli smartphone in pianta stabile, di instagram e via dicendo.
“Mainstream” è un po’ il disco simbolo e da lì la musica italiana non è stata più la stessa.
L’indie, la successiva ascesa del (t)rap, artisti che con quattro singoli in croce riempivano locali che prima di loro, ad omologhi colleghi, per la fare la medesima cosa, servivano sette album e una gavetta infinita. Ora quei locali sono prima diventati palazzetti con comodità, quindi addirittura stadi.
Calcutta è l’artista simbolo, quasi religioso, perché, piaccia o meno, c’è un prima e un dopo di lui, ripeto, più per una collocazione casuale, che una reale strategia di marketing.
Detto questo dopo l’abbuffata del disco precedente con i soliti successi a ripetizione, tour ultra sold out e tanto incondizionato affetto, Edoardo D’Erme si è preso, appunto, una lunga pausa, rotta qua e la da collaborazioni autoriali, mai disdegnate nella sua già ricca carriera.
Il titolo del disco è anche ironico di per sé, per suggellare al meglio la lentezza acquisita e la non fretta di voler pubblicare musica a tutti i costi. Un aspetto che gli fa onore, quindi tornare realmente quando si ha qualcosa da comunicare per davvero.
Pubblicazione repentina, annunciata giusto dieci giorni fa e, come detto sopra, senza singoli apripista. Tutte scelte controcorrenti, ma in linea con il personaggio.
Dopo questa doverosa premessa, arriviamo al disco in questione, in sé è il più personale della trilogia, un lavoro che non tiene minimamente conto dello status raggiunto da paladino del (Indie) pop italiano.
Siamo dalle parti del Battisti post bagordi da riflettori televisivi, quello che incominciava a sentirsi nel posto sbagliato, e Calcutta come Lucio, volutamente fuori dai giri della visibilità patinata, ritorna con un disco sincero, che forse piacerà meno dei precedenti, senza la ricerca spasmodica del tormentone a tuti i costi, un album che non vuole fare calcoli, semplicemente tornare a suonare musica sentita e da queste parti, è una scelta, che si apprezza molto.
Non mancano i singoli come “Due Minuti” (pronta a conquistarsi l’airplay nazionale) o la stessa “Tutti”, che parte con un racconto per pianoforte e voce, che vede anche la partecipazione, nella fase di scrittura, di Davide Petrella, hitmaker per eccellenza; entrambe meno ficcanti dei successi calcuttiani, ormai evergreen, ma comunque di facile presa, quindi tutta una serie di composizioni a volte intimiste, quasi defilate, e vista la caratura, anche sperimentali di per sé, con l’aiuto in studio di Mydssound (producer francese di fama internazionale), del solito Andrea Suriani e del sodale Giorgio Poi che ci mette del suo, facendo percepire, giustamente, la sua presenza in sede produttiva, da citare anche Laurent Brancowitz, storico chitarrista dei Phoenix che, collabora insieme a Giovanni De Sanctis, musicista della backing band di Calcutta nella dimensione live, al bizzarro esperimento di “Coro”, brano in apertura di tracklist per sole voci.
Un disco poetico nelle liriche, malinconico e sensibile, surreale e sofisticato, quanto semplice negli aneddoti e nelle immagini secondo il suo modo di scrivere, che tanto ha fatto breccia, si ascolti per esempio “SSD” o la stessa “Preoccuparmi”.
Sicuramente non è un lavoro da liquidare con ascolti frenetici, rispetto al passato, serve un pò di tempo in più per assimilarlo, un album importante per la carriera di Calcutta, un disco qui per rimanere nel tempo ed essere considerato un caposaldo della sua discografia.