Gli umili Dead Can Dance sono lo storico duo australiano composto da Brendan Perry e Lisa Gerrard, nota ai più come autrice dei vocalizzi nella celeberrima colonna sonora de “Il Gladiatore”. Punte di diamante della 4AD, hanno quanto meno il merito di aver codificato, se non creato di sana pianta, una versione “neoclassica” del rock gotico, conducendolo ad una forma di musica da camera adulta, commistione fra ‘bassa’ e ‘alta’ che parte dal sozzo post-punk e sconfina in un serafico panteismo.

Forse meno acclamato dei precedenti “Spleen and Ideal” (1985) e “Within the Realm of a Dying Sun” (1987), “The Serpent’s Egg” fu l’album che mi fece letteralmente innamorare di questa band. Conosciuti per caso, quando l’internet era ancora una landa in attesa di colonizzazione, i rituali della coppia hanno continuato a suggestionarmi negli anni.

L’opera consta di un paio di grandi capolavori impreziositi da brevi intermezzi a corredo, tra echi rinascimentali (“Orbis de Ignis”, “Song of Sophia”), canti polifonici (“The Writing on My Father’s Hand”) e folk ancestrali (la nenia funebre di “Chant of the Paladin”, “Severance” e il suo paesaggio crepuscolare).

L’emozionante crescendo di “The Host of Seraphim” vale da solo il prezzo del biglietto: Gerrard salmodia con accorata tensione, accompagnata solo dai celestiali bordoni dell’organo. L’impressionante climax centrale suona come una preghiera new age per i dimenticati della Terra. Il girotondo si scioglie in una solenne liturgia gregoriana, ma tutto il brano è un sincretismo di religiosità universale.

Pur terzomondisti fino al midollo, i Dead Can Dance riescono a donare un qualche senso esistenziale alla loro pretesa intellettuale. L’ambient di “Echolalia” e “Mother Tongue” è puro tribalismo etnico. Sull’altro estremo dello spettro, “Ullyses” bascula nel mare in tempesta, la ciurma a duellare le onde. Molto del fascino di questa musica sfrutta la giustapposizione tra l’austera forma canzone di lui e i virtuosismi improvvisati di lei.

Il sensuale Perry, che ha una voce più terrena di Gerrard, fortunatamente ne compensa gli eccessi (e perlomeno canta in inglese). “In the Kingdom of the Blind the One-Eyed Are Kings”, un’ipnotica ninnananna per fantasmi, accoglie reiterando rintocchi solenni, si distende in una declamazione ancestrale, e decolla in un tripudio di archi, corni e tamburi. Poi si immerge adagio in un caos quieto. Una fiaba medievale, un prodigio di vibrazioni che non dimenticherò mai, e che ho il piacere di raccontarvi come intima forma di ringraziamento.

Data di pubblicazione: 24 ottobre 1988
Registrato: Studio privato, Isle of Dogs (Londra)
Tracce: 10
Lunghezza: 36:15
Etichetta: 4AD
Produttori: Brendan Perry, Lisa Gerrard, John A. Rivers

Tracklist
1. The Host of Seraphim
2. Orbis de Ignis
3. Severance
4. The Writing on My Father’s Hand
5. In the Kingdom of the Blind the One-Eyed Are Kings
6. Chant of the Paladin
7. Song of Sophia
8. Echolalia
9. Mother Tongue
10. Ullyses