I Paws mancavano da quattro anni e mezzo dalle scene: il loro quarto album, “Your Church In My Bonfire“, era uscito, infatti, ad aprile 2019. La band scozzese era riuscita a portarlo in tour per alcuni mesi, ma dopo poco la pandemia ha fermato le cose per tutti quanti.
Il cammino di Phillip Jon Taylor e Joshua Swinney si è poi separato: il primo è andato nelle Highlands dove, oltre che a far crescere un suo progetto solista, ha continuato a coltivare l’altra sua arte, la pittura, intanto che doveva ovviamente compiere i suoi doveri di genitore, mentre il secondo si è trasferito a Londra a fare lo chef presso il famoso ristorante Plimsoll.
La voglia di tornare insieme dopo tanto tempo era comunque rimasta e così i due si sono ritrovati nell’ottobre dello scorso anno nel cottage di Phillip in Scozia, dove, in pochi giorni, partendo dai demo che avevano registrato sui loro telefoni, sono riusciti a scrivere e registrare le dieci canzoni che compongono questo loro omonimo quinto LP, prodotto e mixato proprio dallo stesso Taylor.
Il disco si apre in maniera strana con “Helen Back” con continue inserzioni rumorose dai toni industrial, che comunque proseguono per oltre un minuto, anche quando la strumentazione si fa più ricca e intensa con il suono grintoso delle chitarre che ci riporta dritti nell’alt-rock degli anni ’90, mostrando allo stesso tempo cattiveria, esaltazione e melodia.
Una delle nostre tracce preferite di “Paws” è senza dubbio “Uncertain” che riesce a mettere d’accordo un intelligente uso dell’elettronica e chitarre distorte dai sapori ’90s con una sensibilità pop impregnata di una certa malinconia.
Poco dopo la metà, “Sound Aye No Bother” ci stupisce: questo brano quasi totalmente strumentale si apre con imponenti riff di chitarre graziate di un ottimo senso melodico, sotto le quali è possibile udire un velo leggero di synth e qualche rada percussione. Dopo oltre tre minuti ecco arrivare la sezione ritmica che rende tutto più pesante, ma – verso la fine – si aggiungono inaspettati cori angelici e armoniosi che danno un tocco ultraterreno alla traccia.
“S.A.H.D.”, dai toni lo-fi, è inizialmente meditativa e ha ritmi rilassati, mentre Phillip cita testualmente gli Smashing Pumpkins e Billy Corgan nel testo, ma dopo tre minuti diventa strumentale e aumenta in potenza, prima di chiudersi ancora calma.
Il singolo principale “Disenchanted” chiude il disco portandoci ancora su territori alt-rock, ma questa volta decisamente più aggressivi e punk con feroci chitarre fuzzy e una grandissima dose di adrenalina al suo interno.
Un album solido, un viaggio interessante che pesca a piene mani tra numerosi elementi della musica rock anni ’90 in modo molto piacevole e intelligente: come dice la press-release, dopo qualche tempo distanti, ai due scozzesi è bastata una scintilla per ripartire con il loro processo creativo e noi non possiamo che esserne lieti.