Le suggestioni di certo non mancano nella “Selva” di Marta Del Grandi, straordinaria cantautrice che ha scelto il mondo come la casa in cui far abitare la sua musica.
Gli studi jazzistici, intrapresi nella nativa Italia e perfezionati all’estero, l’hanno forgiata nella padronanza della voce e gli anni di esperienze vissute tra Belgio e Nepal sono confluiti vividamente nei suoni ricchi di contaminazioni dal respiro d’oriente che spaziano dall’ art-pop al folk, non disdegnando un’anima elettronica come quella che emerge nelle splendide “Mata Hari” e “Good Story”.
Già con “Until We Fossilize”, in cui Marta attingeva dall’amore per la geologia e per i miti dell’antica Grecia, si intuiva il suo enorme talento. “Selva” é il suo secondo lavoro ed un’ulteriore conferma della versatilità ed eleganza di un’artista che scava tra sentimenti e sperimentazione. Circondata da un quartetto di musicisti con cui collabora da tempo e membri del Mòs Ensemble, è tornata in Belgio per registrare questo piccolo gioiello in cui la sua voce è lo strumento per eccellenza e con essa dialogano in armoniose e sofisticate strutture la chitarra, elettrica ed acustica, synth, piano, contrabbasso, clarinetto basso, sax baritono e batteria.
Sue muse di riferimento per l’eclettico uso della voce sono artiste quali Bjork, Emiliana Torrini, Aldous Harding, ma il percorso intrapreso da Marta Del Grandi é del tutto personale per stile e contenuti, costellati di riferimenti al mondo vegetale ed animale e alle interconnessioni tra essi ed il mondo minerale. La sua “Selva” è popolata da una seducente danzatrice e da creature d’arborea vita viventi: una quercia dalle solide radici, una profetica bocca di leone, rovi intrecciati in campi di narcisi, una pianta di spine che dona l’immortalità.
Does my voice sound different? Si interroga enigmatica “Mata Hari” nella traccia d’apertura, congelata nell’eterno presente di un’antica fotografia. La voce di Marta è un pilastro nell’ecosistema di suoni di cui ogni brano è permeato e lei riesce abilmente a modularla al punto da creare l’illusione che sia un’altra persona a cantare sul basso incalzante di “Chameleon Eyes”.
Si sente tutto il respiro del mondo nei brani di “Selva”, dove ogni suggestione é intrecciata con la seguente. “Mata Hari” si tradurrebbe dall’indonesiano con”Eye of the day” per indicare poeticamente il sole e di nuovo sono gli occhi che ritroviamo, camaleontici, nello sguardo di un uomo a cui chiedere un’ultima danza prima di partire verso lidi lontani.
Impossibile non restare affascinati dal magnetico ritmo tribale di “Snapdragon” come avvolti nella sua frenetica danza di percussioni, con le note del sax che sembrano richiamare canti di uccelli che volteggiano dentro ad una foresta primordiale, per poi lasciarsi cullare dai delicati accenti folk di “Two Halves” e “Stay”. La voce di Marta fluttua accarezzata dalla delicatezza dei fiati sulla splendida melodia di “Marble Season”, brano che ha per emblema una roccia metamorfica che nella sua stessa formazione subisce trasformazioni e che descrive con magnifica malinconia il susseguisi delle stagioni della vita.
I suoni sapientemente stratificati di elettronica sono la cornice per narrare la meravigliosa “Good Story”, riferimento all’epopea di Gilgamesh nella sua disperata ricerca di una pianta che potesse donargli l’immortalità – You want to know how to end time and decay / There is no spell, no exception / If you find a plant that can prick your hand like a rose / Hold onto it, make it your story –
Le astrazioni dei layers nella title track creano un elaborato intreccio di droni vocali e l’ascoltatore sembra addentrarsi realmente in una foresta popolata di suoni ancestrali e mormorii che affievolendosi lasciano emergere in primo piano la voce che, ripetendo un semplice haiku, si trasforma in un mantra. Il solenne suono di synth nella conclusiva “End of the World Pt.2” trascende in un mondo ultraterreno in cui si respira un etereo senso di sublime, il sentimento di chi alla fine di un lungo viaggio ha finalmente trovato la pace.
Una classe senza tempo quella di Marta Del Grandi, in un periodo storico in cui la grazia e l’individualità si disperdono in mille produzioni seriali, la sua unicità è qualcosa di cui andare fieri. Esplorazione sonora e viaggio fiabesco tra le epoche, accarezzato da echi di terre lontane, intuizioni ataviche e umori folk con tocchi elettronici, “Selva” è un ritratto vivido e luminoso del suo universo incantato, da ascoltare ad occhi chiusi, fino alla fine del mondo.