Sta cercando il suo posto nel mondo la giovane artista canadese Helena Deland, lo si capisce dall’urgenza e dalla prolificità con cui ha fatto irruzione nel panorama discografico: tre album pubblicati dal 2020 ad oggi, caratterizzato dal recente “Goodnight Summerland”, più svariati EP e collaborazioni.
Non sembra tanto la voglia di esserci da parte sua a fungere da viatico per un percorso musicale in senso stretto, quanto la possibilità concreta di far sentire mediante la delicatezza della voce e delle composizioni il suo vissuto più profondo.
Ispirata dalle grandi folksinger americane e non, la Deland giunge a compimento di una prima parte di carriera con queste nuove undici canzoni che ne manifestano la parte più intima e sensibile, lontana da clamori e schiamazzi.
Basta accedere alla prima traccia, una dolcissima strumentale dai toni lunari (“Moon Pith”) per cogliere subito la profondità della proposta, che si dipana presto in una chiave intimista senza soluzione di continuità, immergendosi nella dolcissima “Saying Something”.
A emergere sono principalmente dei tratti malinconici, sull’onda dell’esperienza di colleghi come Sufjan Stevens, e come il cantautore di Detroit anche Helena Deland nei propri mezzi sembra svuotarsi, denudarsi anche laddove faccia massiccio utilizzo di immagini evocative più che spiattellarti in faccia nomi e cognomi di persone che l’hanno segnata.
Ciò fa acquisire grande fascino e spessore ad episodi come “Roadflower” o “The Animals”, quest’ultimo corredato da un bellissimo videoclip, ma in generale è tutto il disco a muoversi su coordinate acustiche in grado di farci cogliere al meglio l’essenzialità dell’artista.
Una cantautrice giovane che non smette di riflettere e interrogarsi sulla realtà che la circonda, come capita nella placida “Bright Green Vibrant Gray” e nella vivace “Spring Bug”, che dona sprazzi di accogliente felicità.
“Goodnight Summerland” a un ascolto distratto potrebbe sembrare così omogeneo da risultare a tratti noioso ma credo che Helena Deland volesse mostrarsi interamente nella sua autenticità, e con ogni probabilità al momento per farlo ha bisogno di una forma espressiva rassicurante, intrisa di suggestioni pop-folk.
A rendere intrigante la sua proposta artistica è però quel senso di tormento interiore che sembra attanagliarla, quella fragilità sussurrata e quasi indefinita, ben esemplificata a mio avviso anche nel bellissimo dipinto scelto per la copertina del disco.