Artista versatile e molto talentuosa, Carla Grimaldi è nota soprattutto come membro ufficiale dei Blindur di Massimo De Vita, dove è impegnata al violino, ma negli anni ha saputo affinare sempre di più la sua proposta, avendo avuto modo di collaborare con diversi nomi italiani e internazionali.
Di recente ha pubblicato un nuovo singolo come solista, che abbiamo trattato nell’apposita rubrica Brand New, e ci è venuto naturale concordare un’intervista telefonica per saperne di più direttamente dalla sua voce.
Buongiorno Carla, la tua abilità con lo strumento è ormai risaputa ma quando di preciso la musica è entrata nella tua vita? Viene da un background famigliare, dall’incontro con Massimo o è qualcosa di connaturato in te?
Ciao Gianni, buongiorno, beh, guarda In realtà posso dire che la musica è entrata nella mia vita sin da quando andavo alle scuole elementari, ricordo le maestre che notarono una mia predisposizione al punto che insistettero con i miei genitori affinché iniziassi a suonare uno strumento.
Poi sì, in famiglia la musica era presente, mio padre è un amatore, è estremamente musicale e a volte invidio il suo orecchio, ha un tale senso del ritmo! Questa cosa probabilmente me l’ha tramandata lui, è stato il primo approccio che ho avuto e poi come detto le maestre hanno confermato questa attitudine naturale.
All’epoca facevo anche danza classica e pure lì dicevano che avessi uno spiccato senso del ritmo. Però io ero orientata alla musica, così i miei genitori si informarono, mi diedero un elenco di strumenti papabili, in base ai maestri della zona, e tra questi c’era anche il violino.
Ecco, volevo arrivare qui: perché scegliesti proprio il violino?
È una storia veramente strana, perché all’inizio avrei potuto scegliere in particolare tra pianoforte e violino; a tal proposito nel nostro paese (Frattaminore) c’era un signore di nome Carlo, un ottimo violinista, un orchestrale famoso, a cui i miei si rivolsero. Però non l’ho mai conosciuto, lui disse che non poteva darmi delle lezioni perché era sempre fuori in giro a suonare e non gli era possibile garantire una certa continuità a una bambina che doveva partire da zero: fu molto professionale, non è una cosa da tutti.
Fatto sta che a quel punto i miei genitori deviarono altrove, così per alcuni anni ho studiato pianoforte classico, visto che tra l’altro nello stesso paese c’era anche una maestra di pianoforte e io dovevo raggiungerla a piedi perché i miei lavoravano. Fino a che, arrivata l’adolescenza, ho lasciato le lezioni di piano classico e ho imparato a suonare da autodidatta la chitarra.
Eri già una polistrumentista?
Sono molto arrugginita rispetto a prima, riesco a fare cose semplici, mi accompagno, ho studiato anche un po’ canto. Prima erano solo pezzi di musica classica, ma sono come scappata da quella impostazione, perché è sin troppo rigida, mentre io sono sempre stata una creativa, irrequieta. Non trovavo una vera forma di comunicazione in quel genere li.
Perciò mi misi a suonare la chitarra e in seguito volli studiare pianoforte blues, perché proprio mi piaceva lo strumento ma volevo imparare a improvvisare e a esprimermi. E poi arrivò il violino e cambiò tutto!
Già, considerando che appunto ora sembri un tutt’uno col violino…
Verso i 18 anni, quindi tardissimo rispetto alla media, ho preso per la prima volta in mano il violino e subito notai che c’era qualcosa di diverso che non avevo mai vissuto con gli altri strumenti.
Ero in grado cioè di tirare fuori una melodia da sola, non sapevo neanche magari dove stavano le note sulla tastiera del violino, il nome delle corde e come era accordato, eppure ricordo che poco tempo dopo mentre ascoltavo con Massimo (De Vita) un pezzo dei Low Anthem (un gruppo folk-rock americano), già ci suonavo sopra delle note lunghe, semplici se vogliamo, ma col piano neanche quello riuscivo a fare; là suonavo tutte cose scritte, codificate, non riuscivo insomma a metterci del mio e parlare con lo strumento.
Col violino invece mi è successo naturalmente, c’è stato subito un legame particolare, come se dicessi: “ok, questo è il mio strumento, poi ci sono tutti gli altri”.
Quindi è da tanto che conosci Massimo?
Sì, conoscevo Massimo da tantissimo tempo, stavamo nello stesso liceo, lui è più grande di me ma il giro di amicizie era lo stesso. E’ stato in particolare tramite il pianoforte, perché lui è bravissimo sul pianoforte moderno e mi diede qualche dritta, poi iniziammo a frequentare gli stessi giri.
Quando ti appassionasti allo strumento eri ancora in una fase di evoluzione e penso sia difficile avvicinarsi al violino o in generale al folk a quell’età lì in cui tra l’altro andavano certi gruppi, stavano emergendo tante band di rock italiano. Tuttavia a Napoli c’è da sempre un forte retaggio folk, per cui ti chiedo: quali erano i tuoi ascolti? Cos’è che ti ha formato musicalmente?
Io sono cresciuta col punk-rock, metal e con i Beatles, ma crescendo ho iniziato ad ascoltare tanto blues e folk, tanta musica irlandese soprattutto: ecco, potrei dirti che sia stata quella la scintilla che mi ha fatto avvicinare definitivamente al violino.
Mi piaceva tantissimo il violinista dei Dubliners, tuttora è un mio punto di riferimento, volevo imparare lo strumento per suonare la musica irlandese, mi interessava solo quella nei primi anni in cui iniziai ad amare il violino!
Fu naturale per me, da amante della musica irlandese, apprezzare la Dioniso Folk Band, ed ebbi modo tanti anni fa di intervistare Massimo De Vita che ne era leader e autore principale. Tu stessa mi stai dicendo che sei stata travolta dalla passione per la musica irlandese e che già conoscevi Massimo; quand’è che il vostro sodalizio umano è diventato anche professionale, in che momento avete cominciato delle collaborazioni?
Lui ha sei anni più di me e quando ho cominciato a suonare con gli altri (non solo quindi come studente), lui già lo faceva di professione e perciò c’è stato un tempo naturale, fisiologico, fino a quando io sono migliorata e avevo raggiunto un livello tale da poter affrontare un live.
Nel frattempo mi appassionai al rock, al mondo dell’effettistica applicata al violino, da lì ho iniziato a collaborare con lui e sono entrata a far parte dei Blindur. Avevo anche maturato interesse verso altre sonorità rispetto al folk ma di fatto ero agli inizi, stavo finendo il liceo mentre lui era già musicista a tempo pieno ai tempi della Dioniso.
Come detto, adoravo la Dioniso ma ammetto di aver trovato da subito il progetto Blindur come qualcosa di più avanti, un salto di qualità sia nel cantato che nelle sonorità che stavano abbracciando qualcos’altro. Quella è stata la tua prima esperienza professionale: l’hai vissuta in modo naturale o hai avvertito che la tua vita stava prendendo una nuova direzione, segnandone un cambiamento?
Diciamo che fu la mia prima esperienza di un certo peso, avevo suonato in altri progetti molto più piccoli dove mi sono fatta le ossa, ma Blindur è stata da subito una cosa più seria, professionale e ti dirò, non avevo la sensazione chiara di quello che stavo facendo: all’inizio era tutto molto spontaneo anche musicalmente, iniziare a collaborare con lui, entrare a far parte del progetto; poi a un certo punto è diventata parte integrante della mia vita, della mia formazione come musicista.
Sono diventata via via un punto importante del progetto perché dall’ultimo disco in pratica io e Massimo collaboriamo strettamente e ho molta libertà nella stesura delle parti di violino, mi ha dato tantissima fiducia questa cosa.
Prima in effetti sembrava più un progetto solista di Massimo De Vita, poi pian piano ho associato molto anche a te i Blindur. Sono rimasto sorpreso dall’annuncio dove in pratica mettete in pausa questa esperienza, perché ritengo che avevate tanto potenziale da esprimere ancora assieme.
Grazie davvero delle tue parole, sono contenta che dici che il progetto siamo io e lui, cosa che riempie di orgoglio perché nei Blindur mi sono sempre sentita completamente espressa come violinista dal punto di vista del rock, mi è sempre piaciuto ed emozionato suonare le nostre canzoni. I testi di Massimo poi mi piacciono tantissimo, mi ci rivedo completamente e per me come detto prima è stato bellissimo lavorare alle linee degli archi da zero nell’ultimo album.
Mai dire mai, il progetto al momento è congelato ma non è chiuso, finito, c’è la volontà di tornare live… però, ecco, sentivo il bisogno di dare sfogo ad altre necessità; inizialmente quello che non potevo fare con Blindur (perché ad esempio magari c’è da rispettare il testo che viene prima di tutto), ho cominciato a farlo da sola e da lì sono nate dei piccoli embrioni di quelli che sono poi diventati i miei pezzi.
Hai acquisito una maggiore sicurezza sia in studio che live sul palco, e come compositrice adesso hai l’esigenza di esprimerti e spaziare. Le tue canzoni sono molto evocative, ci sento dentro due mondi apparentemente distanti tra loro (per clima e cultura) come l’Islanda e l’Oriente ma che convivono perfettamente. Quello di far confluire tutte le suggestioni di queste Terre è uno dei tuoi obiettivi quando ti metti a scrivere un pezzo? Quanto c’è del tuo vissuto in ciò che realizzi?
La tua impressione è giustissima, nel senso che riascoltando i miei pezzi ho la sensazione che tutto quello che ho ascoltato durante la mia vita di musicista confluisca perfettamente nel mio gusto, quindi emerge nelle fasi di produzione e nell’arrangiamento; produzione dietro la quale lavora Massimo perché ovviamente con lui vi è un dialogo che funziona molto bene, io mi fido e mi trovo molto bene a lavorarci assieme e lui conoscendomi a fondo sa come valorizzare il tutto: noi ci acchiappiamo come si dice a Napoli!
Mi piacciono vari generi musicali e la mia formazione sul violino è un po’ un melting pot di musica irlandese, folk del Sud Italia, ai quali ho aggiunto tutto l’amore per quel mondo islandese che va da Bjork ai Mum in particolare, per me sono un faro, tutta l’elettronica a cui mi ispiro la devo tantissimo a loro.
Le ho viste dal vivo varie volte ormai e le abbiamo anche conosciute perché quando vai in Islanda lì ti può capitare di incontrare i tuoi idoli a fare la spesa per dire; così quando siamo ritornati per registrare, essendo sul posto da cosa nasce cosa e alla fine siamo anche diventati amici dei Mum!
Di base fondamentalmente sono delle emozioni quelle che io vorrei trasmettere con la mia musica, per me è molto importante l’aspetto emotivo della musica e delle composizioni, in particolare quelle strumentali.
La prima domanda che mi pongo è: “cosa voglio trasmettere e come vorrei che l’ascoltatore si senta, che sentimento provo io mentre ascolto questa frase?” e da lì nasce tutta la produzione e molto spesso devo ammettere che queste emozioni sono legate fortemente a dai paesaggi.
Siete stati in Islanda più volte, una Terra che prima avevate solo sognato, perciò ti chiedo: come è stato dal vivo vedere questi luoghi? Era come ti immaginavi o il fatto di essere lì ad assorbire tanta bellezza ti ha cambiato nel profondo?
Ricordo benissimo la prima volta e tutte le volte che sono stata nell’entroterra dell’Islanda: in particolare la prima volta non era come l’immaginavo, era molto meglio, molto più bello, ero veramente senza parole!
Hai come la sensazione di vivere in un dipinto, in un dipinto perfetto fatto di tutti i colori, lì sei completamente assorbito dalla natura che è prepotente, predominante ma molto poetica e dolce allo stesso tempo.
E’ una sensazione strana che forse la si può capire soltanto andandoci.
Tutto ciò che hai raccolto in quella magica Terra è stato quindi un carburante importante per la tua musica?
Certo, nel modo più assoluto! Fai conto poi che parallelamente alla musica, ho studiato all’Università, mi sono laureata in geologia, quindi ritornano la terra e i paesaggi, ci sono sempre nella mia vita.
Anche componendo è una cosa che mi viene naturale, quando in studio cerchiamo dei suoni io faccio sempre così, mi esprimo in questo modo.
Ti faccio un esempio pratico: su “La nostalgia del mare”, composto insieme a Manuel Zito, a un certo punto c’è un sospeso al centro del pezzo e lì volevo dare proprio la sensazione di un tuffo sott’acqua, come quando tu dall’emerso vai nel sommerso.
Mi piaceva trasmettere tutte queste sensazioni di suoni acquosi, ovattati: per me un lavoro così lo trovo molto stimolante.
Il tuo curriculum si sta molto ampliando, con collaborazioni tra le più svariate. Non voglio chiederti quale sia la più importate e più bella, però immagino che a livello di emozioni l’aver incontrato Michele Signore (della Nuova Compagnia di Canto Popolare), Marco Messina dei 99 Posse e Meg che per Napoli penso siano delle istituzioni sia stata una bella botta. Per non dire di artisti internazionali, come l’aver collaborato con Birgir Birgisson (già fonico e produttore dei Sigur Ros); ecco, pensavi un giorno che saresti arrivata a questo status di artista? Come vivi questa tua nuova dimensione di chi si sta affermando come solista?
Per me è tutto così strano e così grande, che ancora faccio fatica a crederci! Ricordo la me liceale dove c’era un periodo che io e i miei amici ascoltavamo solo ed esclusivamente i 99 Posse e quindi potrai immaginare ogni volta che parlo con qualcuno di loro, adesso che ho aperto per Meg poi: per me è surreale, è l’unica parola che mi vene in mente.
Ho ricevuto messaggi privati da amici del liceo che non sentivo da anni e anni che mi dicevano che sarebbero venuti al concerto perché contentissimi per me, e penso tra me e me: “ma allora veramente sta succedendo?”
Forse questo l’avrò realizzato il giorno dopo, perché mi sembra davvero un sogno, come tutte le volte che ho lavorato per Birgir o l’ho incontrato anche solo per un saluto in Islanda – perché poi non sempre siamo andati solo per lavoro -, e ogni volta è un po’ strano parlare con gente come lui, sempre un po’ surreale, davvero è il termine adatto.
Ti credo, considero i Sigur Ros tra i migliori gruppi del mondo!
Sono assolutamente d’accordo con te!
Da come ti poni sei molto umile e il tuo modo di approcciarti alla musica è molto genuino ma direi che stai dimostrando con le tue canzoni di meritarti questo. A proposito, come è nata la collaborazione con Meg in occasione della rassegna “Napoli Svelata”? Raccontaci come hai vissuto quei giorni di avvicinamento all’evento?
In realtà Meg non la conoscevo ancora di persona ma per “Napoli Svelata” durante la serata era prevista anche un’esposizione di APNOEA, che seguiamo io e Meg, quindi si è creato questo parallelismo, questa serata al femminile che ha reso possibile l’incontro.
Musicalmente poi ci sono delle affinità: anch’io utilizzo tantissimo l’elettronica, quindi la combo apertura-main act funzionava molto bene e la serata assumeva significato ulteriore anche ruotando attorno a questo brand napoletano (APNOEA appunto), che ci veste utilizzando materiali di riciclo. Sono tanto impegnati dal punto di vista etico, sono davvero molto innovativi, è di fatto nato così questo mio inserimento nella rassegna, che ho accolto con grande gioia ed entusiasmo.
Hai postato pure dei video dove parlavi dei tuoi preparativi durante l’attesa…
Eh già, si parla sempre troppo poco di quello che c’è dietro.
Giustamente ti stai vivendo appieno tutto questo ma hai già degli altri obiettivi davanti che ti sei prefissa, anche sul breve termine?
Ho dei brani in cantiere sui quali lavorare e sicuramente quindi uscirà della musica nuova nei prossimi mesi, non so ancora quando, comunque c’è qualcosa che bolle in pentola: su una cosa in particolare ho voglia di mettere le mani, ma più per un vezzo mio diciamo… mi piace l’idea e non vedo l’ora di lavorarci!
Poi vorrei riuscire a realizzare qualche data in giro per l’Italia, spero veramente di riuscire a farlo, perché con la musica strumentale non è facilissimo purtroppo, ma sicuramente dopo questa serata l’idea di un futuro mini-tour ce l’ho eccome in testa.
A me piace tantissimo perché, per quanto sia difficile suonare dal vivo, non è certo una passeggiata, la dimensione live è forse quella che preferisco, almeno sotto molti aspetti, rispetto a quella in studio.
Nonostante l’ansia e lo stress di salire sul palco, queste sensazioni immagino ci siano sempre, no?
Si ma anche lo studio ha la sua ansia e il suo stress, quindi devi solo decidere tu quale dei due preferisci, ma detto ciò mi auguro veramente di riuscire a fare qualche concerto.
In chiusura, nell’augurarti le migliori cose per il tuo futuro, ti faccio un’ultima domanda. Anche se si dice che la discografia non esiste più, non ti piacerebbe arrivare ad avere un album tutto tuo, un disco a tuo nome come si faceva una volta, oppure pensi di pubblicare qualche singolo di volta in volta, senza un progetto un po’ più organico?
Al momento non lo so, ti dico la verità, non mi sono posta questa domanda ma “mai dire mai”, perché anch’io sono molto legata al concetto di disco, comunque i miei artisti preferiti facevano appunto i dischi: penso a Bjork e a tutti i concept di ogni lavoro che lei ha pubblicato.
Mi interessa certamente però al momento la metto in stand by questa cosa e procedo un passo per volta.