50. NONAME
Sundial
[ AWAL Recordings America ]
Noname è un’artista che utilizza la musica come necessario mezzo di espressione. Dopo aver aperto circoli di lettura, biblioteche ed essersi inserita in attività politiche, tra Los Angeles e Chicago, ritorna dietro il microfono con il suo secondo album. “Sundial” è un album che abbina un sound quasi jazz a delle lyrics pungenti. Noname mette in discussione tutta la società attuale, con una vena di pessimismo e sete di rivalsa che coinvolge tutti, ma proprio tutti, finanche gli intoccabili Beyoncè, Jay-z e Kendrick Lamar.
(Giuseppe Gualtieri)
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49. IOSONOUNCANE
Qui noi cadiamo verso il fondo gelido
[ RCA / Tanca Records ]
La nostra recensione
E’ un live, ma zeppo di inediti e non poteva non entrare nei piani alti della classifica. “IRA” vi era piaciuto ma lo trovavate troppo lungo e dispersivo? Iosonouncane rilancia con due ore di registrazioni live, in parte improvvisate, in cui se non vi è finalmente chiara la sua grandezza, se non siete completamente presi, allora è inutile che ne parliamo. Con Iosonouncane l’Italia torna a produrre, nel campo della musica d’autore, qualcosa che rimarrà rilevante negli anni a venire anche fuori dai confini nazionali.
(Giovanni Davoli)
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48. BAUSTELLE
Elvis
[ BMG Italy ]
La nostra recensione
Anche i gruppi fanno il rebrand. In questo caso i Baustelle hanno proprio cambiato tutto (dalla formazione live fino al management e via dicendo) per sfornare questo album-tributo in onore di “Elvis”. Il risultato? Forse uno dei loro lavori più interessanti degli ultimi tempi, con una grandissima apertura a generi non ancora esplorati e la voglia di essere perdutamente superstar. Per sempre.
(Lucagian)
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47. DROP NINETEENS
Hard Light
[ Wharf Cat ]
La nostra recensione
Nel 2023 gli statunitensi Drop Nineteens sono tornati a produrre nuova musica a 30 anni esatti di distanza dall’uscita di “National Coma”, il loro canto del cigno prima dello scioglimento datato 1995. Una resurrezione inattesa ma fortunata perché “Hard Light”, che pure è stato accolto in maniera alquanto tiepida, è un album solido e convincente, completo nel suo riuscire a mettere in luce tutte le caratteristiche di un gruppo ingiustamente costretto a vivere all’ombra dei giganti dello shoegaze britannico.
(Giuseppe Loris Ienco)
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46. HANNAH JADAGU
Aperture
[ Sub Pop ]
La nostra recensione
Dal piglio bedroom-pop del lavoro di 2 anni fa si è passati ora, con l’esordio “Aperture”, a un alt-pop ricercato, fantasiosio e magicamente variegato, con Hannah che non nasconde l’amore per chitarre e liquidi synth, così come per l’ R&B quanto per l’indie-rock al femminile e pure per suggestioni dreamy più stratificate che potrebbero addirittura rimandare la nostra memoria ai mitici Lush.
(Riccardo Cavrioli)
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45. PETER GABRIEL
i/o
[ Real World Records ]
La nostra recensione
Il decimo lavoro di inediti (nel mezzo ricordiamo l’album di cover del 2010 “Scratch My Back” e la rivisitazione orchestrata dei classici del 2011 “New Blood”) ci regala un Gabriel immenso e monumentale, un artista senza tempo, come le sue incredibili canzoni.
(Alessandro Tartarino)
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44. MANDY, INDIANA
i’ve seen a way
[ Fire Talk ]
La band di stanza a Manchester si tuffa in territori ricchi di sonorità elettroniche piuttosto pesanti, folli e rumorose in mezzo alle quali si distingue la voce ipnotica della Caulfield, che canta in francese, sua lingua madre.
(Antonio Paolo Zucchelli)
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43. JEFF ROSENSTOCK
Hellmode
[ Polyvinyl ]
La nostra recensione
“Hellmode” di Jeff Rosenstock è un bellissimo mostro mutante, in bilico tra pop punk e power pop, che viaggia a briglie sciolte. Le canzoni trasudano rabbia, delusione, ansia e sfiducia nel futuro e sono caratterizzate da un sound unico, orecchiabile e al tempo stesso complesso, totalmente privo di limiti autoimposti. Rosenstock recupera le lezioni di Weezer, Green Day, NOFX e The Muffs per dar forma a qualcosa di innovativo ma non spiazzante. Un bel mix tra l’energia del punk e la raffinatezza di un pop mai così maturo (ma ancora sanguigno).
(Giuseppe Loris Ienco)
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42. YO LA TENGO
This stupid world
[ Matador ]
La nostra recensione
Quasi la perfezione del concetto di indie music, ogni canzone al posto giusto, ogni cosa dentro ogni canzone al posto giusto, come se la band avesse una familiarità innata con la semplicità invece che con il frutto di un’esperienza che si rinnova da decenni in forme esemplari.
(Gianni Merlin)
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41. STEVEN WILSON
The Harmony Codex
[ Virgin ]
La nostra recensione
Nel suo fluttuare tra il commerciale e lo sperimentale, “The Harmony Codex” potrebbe essere il più bel disco solista di Steven Wilson. Il più maturo, il più versatile e quello, direi, più ispirato dall’inizio alla fine. Bella novità per un’artista che, per quanto grande e spesso visionario, non sempre riusciva a mantenere questo livello di concentrazione (per sé e per l’ascoltatore) lungo un intero album.
(Giovanni Davoli)
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40. ORBITAL
Optical Delusion
[ Orbital Rec. ]
La nostra recensione
Per il loro decimo album in studio i fratelli Phil e Paul Hartnoll hanno messo in campo tutto il loro mestiere maturato in oltre 30 anni di musica elettronica in tutte le salse dance. Ma se in passato si sono dedicati prevalentemente alla parte strumentale, con ricerche armoniche infinite come il maestro Jean-Michel Jarre, per questo album il salto di qualità lo hanno fatto ispirandosi ai colleghi più giovani che si fingono fratelli, i Chemical Brothers, ed hanno invitato delle guest star non appariscenti ma che hanno dato spessore all’album.
A cominciare dagli Sleaford Mods del primo singolo pre–release “Dirty Rats” il cui spoken words sembra non centrare nulla con la musica da dancefloor degli Orbital, ma che finisci per canticchiarla sotto la doccia.
E che dire di Anna B. Savage, con quella sua voce da chanteuse da cafè chantant parigino, adagiata su ritmi sincopati ed incalzanti drum ‘n bass sul perfetto brano “Home”.
Ma anche le altre guests tipo Coppe, Penelope Isles, Dina Ipavic rendono il disco praticamente perfetto, ripetibile, godibile, semplice, malgrado il sabotaggio dell’orribile copertina.
In un’annata di grandi scoperte e attesi ritorni, i due fratelli attempati di Sevenoakes, Kent, hanno saputo strabiliare con incredibile semplicità.
Strabiliante
(Bruno De Rivo)
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39. LAEL NEALE
Star Eaters Delight
[ Sub Pop ]
La nostra recensione
L’ipnotica “In Verona”, promossa canzone dell’anno, accompagna un disco parimenti meraviglioso di art rock surreale.
(Corrado Frasca)
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38. MARINA HERLOP
Nekkuja
[ Pan ]
La nostra recensione
Lungi da noi voler essere tediosamente di parte, ma l’indiscutibile talento di Marina Herlop chiama il mondo come la pioggia una nuvola nera. I testi, le armonie, le melodie (mai banali) dei pezzi contenuti nella sua nuova creatura, dimostrano – ancora una volta – come la strada intrapresa dalla cantante spagnola sia quella giusta. Dunque, non ci resta che constatare tutta la magnificenza, tutta l’ispirazione, tutto l’autentico splendore, che fanno di “Nekkuja” uno degli album più belli dell’anno.
(Francesco De Salvin)
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37. VANISHING TWIN
Afternoon X
[ Fire ]
La nostra recensione
Si sguazza fra visioni sghembe (“Melty”) con la classica distonia fra melodia vocale e sottobosco melodico, con una prassi che a volte sfiora i primi Blonde Redhead con quel piacere da nouvelle vague in acido, mentre altrove ci si addentra nel torbido con suggestioni cinematiche che sarebbero piaciute al Ferreri più grottesco, in cui la realtà viene ribaltata in un gioco imperfetto di sovrapposizioni distorte, come succede anche qui specie negli ultimi due brani dove il delirio è assicurato.
(Gianni Merlin)
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36. PROTOMARTYR
Formal growth in the desert
[ Domino Rec. ]
La nostra recensione
Album dopo album , la solida corazzata di Detroit torna a fare ribollire i nostri malumori, il malinconico sapore amaro delle delusioni, l’incedere della rabbia rappresa che il personalissimo post punk di questi fuoriclasse ogni volta fa riemergere con la potenza di una inevitabile calamita.
(Gianni Merlin)
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35. M83
Fantasy
[ Mute Records / Virgin Records ]
La nostra recensione
E via con i sogni e i film mentali targati M83. Il prodotto discografico è sempre lo stesso. Il progetto di Gonzalez rimane tale e quale all’inizio: farci sognare. Con un album strutturato per 13 canzoni, il viaggio in un dream-pop da cinque stelle è ben assicurato. I synth come sempre veri protagonisti del disco, e del progetto, con una menzione d’onore per “Amnesia”. Pezzone.
(Lucagian)
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34. BULLY
Lucky For You
[ Sub Pop ]
La nostra recensione
Il quarto disco dei Bully è veramente il più bello della loro discografia, un disco rock con la R maiuscola, sanguigno e cazzuto, che mette in risalto le emozioni. Alice piazza il discone, quello in cui tutto funziona e sopratutto quello che puoi dire cazzo, questo su Sub Pop ci sta da Dio. Anni ’90 a noi, echi grunge, indie-rock abrasivo, la Bognanno che ci mette cuore e anima in ogni pezzo.
(Riccardo Cavrioli)
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33. LANA DEL REY
Did You Know That There’s a Tunnel Under Ocean Blvd
[ Universal Music ]
La nostra recensione
Non esiste una classifica di fine anno senza Lana Del Rey. Il suo nono album -dal titolo lunghissimo-, seppur privo di particolari elementi innovativi, riesce a regalare perle di eleganza e raffinatezza per produzione e scrittura. Punto di forza indiscutibile sono i feat: Jon Batiste, SYML, Bleachers, Father John Misty, Tommy Genesis, tutte collaborazioni coraggiose che impreziosiscono il risultato finale.
(Giuseppe Gualtieri)
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32. COLAPESCE & DIMARTINO
Lux Eterna Beach
[ Numero Uno / Sony Music ]
La nostra recensione
Colapesce e Dimartino sono i nostri Simon & Garfunkel, ma trasportati nel nuovo millennio e riempiti come se fossero un unico calderone di tanti stili diversi. La loro collaborazione, che purtroppo ora va in pausa, è risultata essere perfetta anche per questo nuovo disco. L’esistenzialismo, la satira, Ivan Graziani e Joan Thiele sono solo alcuni dei temi e personaggi (vivi o morti che sia) che fanno da corollario a questo bellissimo e dolorosissimo album. Momento epico, fuori tema per questa classifica: la Michielin.
(Lucagian)
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31. KARMA
K3
[ Vrec ]
La nostra recensione
Ormai ci avevamo messo una pietra sopra. Erano passati 27 anni dal secondo disco dei Karma (“Astronotus”) e la band milanese quella stessa pietra l’ha messa sulla copertina del terzo e convincente album, “K3”, come una nuova vetta da scalare, una nuova sfida.
Il repertorio musicale è un consolidato desert rock, psichedelico e progressivo, cantato in italiano con liriche intelligenti, sospese tra il viaggio introspettivo dei delicati rapporti umani, la conflittuale relazione tra uomo e natura, tra terra e cielo, il giorno e la notte. Quanto basta per chiudere gli occhi ascoltando questo album che sembra più breve dei 54 minuti, splittato su 2 vinili.
Intenso.
(Bruno De Rivo)
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30. DEPECHE MODE
Memento Mori
[ Columbia Records ]
La nostra recensione
I Depeche Mode vogliono essere al di là di ogni pessimismo, al di là di ogni nocivo e micidiale processo di auto-commiserazione, un processo che porterebbe la loro musica all’epilogo mortale e definitivo. Essa, invece, deve estendersi all’infinito, irrompere nello spazio-tempo e irradiare la propria luminosa energia, come già è accaduto e come accadrà ogni qual volta un ubriaco, un matto, un genio, un David Bowie, un Syd Barrett o un Lou Reed ci mostrerà la storia che esiste in un’altra storia; ci mostrerà come giocare, fino in fondo, partite che sappiamo essere truccate, fregandosene delle mani che stringono i loro coltelli taglienti o di quelle che vorrebbero porgere le loro ipocrite scuse, i loro subdoli saluti o le loro finte carezze.
(Michele Brigante Sanseverino)
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29. BLEACH LAB
Lost In A Rush Of Emptiness
[ Nettwerk ]
La nostra recensione
E’ puro senso di beatitudine quello che ci avviluppa nell’ascolto dell’esordio dei Bleach Lab. La formazione londinese mette a frutto anni di EP ed esperienza sui palchi inglesi per confezionare un prodotto di altissimo valore artistico ed emozionale, figlio legittimo e credibilissimo di quelle trame che band come Sundays, Cocteau Twins e Mazzy Star hanno saputo consegnare alla storia.
(Riccardo Cavrioli)
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28. GRIAN CHATTEN
Chaos For The Fly
[ Partisan Records ]
La nostra recensione
I testi che accompagnano le musiche sono forse la versione più matura dell’artista, che scava in profondità il suo io e la sua condizione di essere umano ed artista. Questo album non vuole essere solo un banco di prova per Chatten, ma anche per noi. Una sorta di seduta psicanalitica sulle nostre condizioni.
(Lucagian)
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27. FOREST SWORDS
Bolted
[ Ninja Tune ]
La nostra recensione
Con questo nuovo “Bolted” Barnes raggiunge sicuramente l’ambito traguardo di aver creato la sua creatura più epica, vedi l’incedere disarticolato e insieme solenne che si irradia nelle anguste cavernosità di “Butterfly Effect” o la maestosa marcia in odore di darkwave etnica che dà vita a “Night Sculpture”, o ancora gli oscuri battiti sciamanici che percorrono le atmosfere robotico-ataviche di “Caged”.
(Luca Morello)
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26. UMBERTO MARIA GIARDINI
Mondo e Antimondo
[ La Tempesta ]
La nostra recensione
Umberto Maria Giardini ci regala un nuovo grande album che lo presenta ancora ispiratissimo, liricamente complesso come al suo solito ma che riesce ad agganciare l’ascoltatore con giochi melodici riuscitissimi e arrangiamenti perfetti, uno dei migliori album dell’anno irrinunciabile e imperdibile.
(Fabrizio Siliquini)
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25. MARTA DEL GRANDI
Selva
[ Fire Records ]
La nostra recensione
Una delle cantautrici più europee tra le italiane per formazione e indole, Marta Del Grandi s’incammina in una “Selva” dal sound ricercato, ricca di riferimenti sonori. Folk, art – pop, elettronica si susseguono trovando sempre nuovi modi per dialogare tra loro in un disco affascinante e ben curato dal punto di vista vocale e strumentale.
(Valentina Natale)
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24. WILCO
Cousin
[ dBpm ]
La nostra recensione
Concepito nel Midwest, scritto prevalentemente in mid-tempo, con qualche bagliore pop ed echi distorti che lo attraversano interamente, il cui ascoltatore medio sarà indeciso se considerarlo un capolavoro o storcere il naso deluso perché non rispecchia l’idea che si è fatto di una tra le band alternative più stimate d’America, è innegabile che “Cousin” sia un outsider nella discografia dei Wilco. Un album notturno e riflessivo, percorso da pennellate di suoni inattesi, a cui solo il benefico trascorrere del tempo potrà rendere onore.
(Emanuela Tortelli)
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23. SIGUR RÓS
Átta
[ Von Dur Limited/BMG ]
La nostra recensione
Un disco incombente, l’ultimo dei Sigur Ros. C’è, infatti, qualcosa di oscuro – in sospeso – sulle nostre esistenze, sul nostro pianeta, sulle nostre città, qualcosa che sminuisce tutto ciò che di buono riusciamo a fare, riempiendo, nel frattempo, le nostre giornate di elementi tossici, di veleni industriali, di sovrastrutture mediatiche, di plastiche e di materiali sintetici. E tutto ciò ci distrae, di destabilizza, ci disorienta.
(Michele Brigante Sanseverino)
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22. BOYGENIUS
The Record
[ Interscope ]
La nostra recensione
Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus, le tre magnifiche ragazze dell’indie a stelle strisce, con “The Record” hanno dimostrato, se mai ce ne fosse davvero bisogno, che come Boygenius fanno sul serio. Se ai tempi del loro emozionante esordio, infatti, il progetto poteva sembrare estemporaneo, frutto della loro sincera amicizia, dopo cinque anni ormai pare chiaro che, unendosi, sono in grado di ricreare quella magia per cui riescono a riflettere in tutto il loro talento individuale, mettendosi le une al servizio delle altre.
(Gianni Gardon)
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21. SPARKLEHORSE
Bird Machine
[ Anti Records ]
La nostra recensione
C’è un equilibrio magico di parole e di musica in questo disco; un equilibrio che è consapevolezza del proprio dolore, delle proprie debolezze e della fragilità umana, ma che è anche consapevolezza della bellezza del mondo circostante, della purezza delle sue leggi misteriose e dell’inevitabilità dei suoi cicli di morte e di rinascita. Un mondo che sentiamo presente anche dentro di noi e che, con la sua silenziosa potenza, ci annichilisce, ci turba, ci spiazza e ci spezza il respiro, spingendo coloro che, come Mark Linkous, sono dotati di una sensibilità, di una fantasia e di una creatività superiore, a trasformare ogni dubbio in un nuovo suono, ogni pensiero in una nuova nota, ogni fantasma in una nuova, estrema, stupenda, terribile canzone. Ma quanti fantasmi potremo esorcizzare? Quante canzoni scopriremo scavando nelle nostre sofferenze?
(Michele Brigante Sanseverino)
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20. BDRMM
I Don’t Know
[ Rock Action ]
La nostra recensione
La band di Hull, UK, sembrava con il primo album aver preso in mano le redini dello shoegaze ed averne indicato il futuro. Ma la loro ambizione gli ha fatto gettare il cuore oltre l’ostacolo, e passando alla label dei Mogwai, hanno inserito l’elettronica sperimentale nella loro texture di chitarre, facendo salire la qualità del prodotto ed allargando lo spettro dei riferimenti: non più Cure, Ride, DIIV ma anche i Radiohead del periodo “Kidamnesiac”. Ma si allarga anche l’orizzonte musicale, si esce dal solito cliquè dei guardatori di scarpe e si alza lo sguardo oltre all’orizzonte. Contrariamente a quanto dichiarato nel titolo, i BDRMM sanno esattamente dove vogliono andare…
Contaminato.
(Bruno De Rivo)
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19. CLIENTELE
I Am Not There Anymore
[ Merge ]
La nostra recensione
Solo pochi eletti, come sempre, toccheranno veramente il cielo con un dito grazie ai Clientele, per tutti gli altri ci sarà l’ultimo dei Blur. Accontentatevi e credete di godere, se vi basta, altrimenti sapete già a chi rivolgervi, Alasdair MacLean vi aspetta.
(Riccardo Cavrioli)
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18. LIL YACHTY
Let’s Start Here.
[ UMG Recordings ]
Il 2023 è stato l’anno della consacrazione per Lil Yatchy. Il rapper statunitense, cresciuto sotto l’ala di Drake, disorienta tutti con il suo quinto album. “Let’s Start Here.” è il titolo dell’album che riassume perfettamente la rottura con il suo precedente percorso artistico. Non è un album trap, non è un album da hit di TikTok ma il flow di Lil Yatchy si accompagna a sonorità funk, pysichedeliche, rock, che ricordano Tame Impala, MGMT. Lil Yatchy si sposta dalla sua solita comfort zone e riesce a risultare pienamente credibile.
(Giuseppe Gualtieri)
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17. LANKUM
False Lankum
[ Rough Trade ]
La nostra recensione
Canzoni che sono storie di vita vissuta e povertà, nelle atmosfere naturalistiche di un’Irlanda d’altri tempi. Rendere moderno un genere primordiale, non è banalità, ma loro ci riescono con la nonchalance che solo i grandi hanno tra le loro corde. Affiancare questi strumenti della tradizione come la concertina, la cornamusa o l’harmonium, a drones percussivi, svecchiandoli quasi fossero materia digitale. “False Lankum” è un po ‘ il “Revolver” del folk irlandese e sto pure basso con i paragoni.
(Fabio Campetti)
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16. NABIHAH IQBAL
Dreamer
[ Ninja Tune ]
Nabihah Iqbal si muove tra shoegaze, synth, elettronica eterea, new wave, dream pop per un disco, via Ninja Tune, che si eleva su gran parte delle uscite del 2023.
(Davide Campione)
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15. ANNA B. SAVAGE
in|FLUX
[ City Slang ]
La nostra recensione
L’album si ascolta ininterrottamente dall’inizio alla fine senza saltare mai un brano, cosa abbastanza rara, risulta così difficile citare qualche brano senza fare torto agli altri, sicuramente devo però segnalare “Pavlov’s Dog”, “Hungry” che dopo l’inizio con chitarra e voce vede poi l’ingresso di elettronica coraggiosa e originale e fiati, “Touch Me” chitarra e voce profonda di Anna in una specie di inquietante invocazione.
(Fabrizio Siliquini)
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14 GORILLAZ
Cracker Island
[ Parlophone Records ]
La nostra recensione
Damon Albarn ha fatto le cose in grande. “Cracker Island” è un concentrato di pezzoni che scorrono leggeri come un pomeriggio soleggiato dalle parti di Los Angeles. Il progetto Gorillaz continua a stupire per propensione creativa e per la non-banalità di brani che – solo in apparenza – potrebbero risultare di facile presa. “Cracker Island” è un signor disco.
(Francesco De Salvin)
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13. BAR ITALIA
Tracey Demin
[ Matador ]
La nostra recensione
Primo dei due dischi pubblicati dai Bar Italia nel 2023, entrambi belli e prodotti da Marta Salogni, io ho un piccolo debole per questo “Tracey Denim”, siamo in pieno revival anni 90, intrecci di chitarre e tre voci bellissime, ma soprattutto canzoni uscite per lasciare il segno.
(Fabio Campetti)
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12. MITSKI
The Land Is Inhospitable and So Are We
[ Dead Oceans ]
La nostra recensione
Cambia, sorprende ancora Mitski e accompagnata da un’orchestra di diciassette elementi cesella un album dall’indole intima e grandiosa, tra folk e arrangiamenti classici senza trascurare l’anima rock che prende il sopravvento nel finale, in “I Love Me After You”. Nashville e Los Angeles convivono in un disco gotico e fragile, il secondo dopo una pausa che ha reso Mitski più forte.
(Valentina Natale)
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11. FEVER RAY
Radical Romantics
[Rabid Records]
La nostra recensione
La criptica artista svedese torna sulle scene con il suo terzo album solista “Radical Romantics”, ennesima dimostrazione della sua musicalità eclettica. Fever Ray, già vincitrice di Grammy Awards con i The Knife (suo gruppo precedente), ritorna con un electropop studiato e dosato alla perfezione, di supporto al suo stile vocale imprevedibile, tipicamente nordeuropeo. La resa live di “Radical Romantics” ci aiuta a capire, ancor di più, quanto sia necessario inserire Fever Ray in questa classifica.
(Giuseppe Gualtieri)
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10. BLONDE REDHEAD
Sit Down For Dinner
[ Section1 ]
La nostra recensione
I Blonde Redhead sono espressione di una musica della quale abbiamo bisogno. Dalle note “Sit Down for Dinner” trapela quel senso di appagamento e distensione che diventa necessario per godere appieno di uno dei migliori album in assoluto di una band in totale stato di grazia.
Bentornati.
(Alessandro Tartarino)
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9. GAZ COOMBES
Turn the Car Around
[ Hot Fruit Recordings / Virgin Music ]
La nostra recensione
“Turn the Car Around”, ultima fatica in ordine di tempo di Gaz Coombes, era uscito il 13 gennaio, eppure già presupponevo che sarebbe finito molto in alto nel mio personale consuntivo della stagione musicale del 2023. I nove brani che lo compongono infatti brillano di luce propria, nobilitando il concetto di pop “adulto” (se mi passate il termine), e impongono il quarantasettenne di Oxford tra i migliori cantautori della sua generazione, ormai del tutto smarcato dalla pur pregevole esperienza alla guida dei Supergrass.
(Gianni Gardon)
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8. SUFJAN STEVENS
Javelin
[ Asthmatic Kitty ]
La nostra recensione
Ci sono voluti tre anni per risentire qualcosa di così struggente ed emozionante allo stesso tempo. La tranquillità di questo disco va contro tutti i possibili rumori a cui siamo abituati oggi. Stevens riesce, ancora una volta, ad emozionarci raccontando tantissime storie diverse con un fil rouge comune: i sentimenti. Registrato in casa, da solo, ma a volte anche con gli amici di sempre a fargli da supporto. Anche durante la lotta più ardua, Sufjan Stevens continua a vincere.
(Lucagian)
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7. ONEOHTRIX POINT NEVER
Again
[ Warp ]
La nostra recensione
Per chi scrive, Daniel Lopatin – in arte, Oneohtrix Point Never, è una sorta di Quincy Jones “dark”. Basti ascoltare i lavori realizzati in fase di produzione per Abel “The Weeknd” Tesfaye, durante l’ultimo quinquennio. Ciò detto, “Again” è un disco sublime, ancestralmente fuori dagli schemi, sin dalla prima nota, in cui emerge tutta la genialità di un musicista che, nel corso del tempo, ha raggiunto un proprio modus musicandi davvero stiloso.
(Francesco De Salvin)
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6. PJ HARVEY
I Inside the Old Year Dying
[ Partisan Records ]
La nostra recensione
Anche PJ Harvey ha battuto un colpo in questo 2023. E che colpo. In “I Inside the Old Year Dying” vira verso una sorta di folk che la rende una Joni Mitchell degli anni ’20, ma senza alcuna forma di revival passatista. Un disco concettuale, introspettivo e a tratti monocorde, ma con alcuni picchi. Cantato con il solito marchio di fabbrica della nostra ed eseguito con la solita impeccabile volontà d’incidere.
(Giovanni Davoli)
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5. DANIELA PES
Spira
[ Tanca ]
La nostra recensione
Un disco mistico, a tratti esoterico, che parte dalle radici folk e jazz contaminandole con l’elettronica, i beat furiosi e sincopati. Sette tracce molto particolari e di gran classe quelle prodotte da Iosonouncane dove alla ricerca musicale si unisce quella linguistica con Daniela Pes che crea il suo linguaggio personalissimo e privato fatto di antiche parole sarde e altre inventate con originalità e passione.
(Valentina Natale)
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4. CAROLINE POLACHEK
Desire, I Want To Turn Into You
[ The Orchard ]
La nostra recensione
C’è chi la definisce la nostra Kate Bush, cosa umilmente negata dalla Polachek (che più volte ha ribadito di essere unica e insostituibile, così come la Bush). Ci asteniamo dal fare paragoni tanto grandi, ma una cosa è certa: quando si intravede un’artista con una pazzia e una voglia di fare musica così evidenti, in un modo o nell’altro entrerà nella storia. Tocca solo aspettare e vedere quando succederà alla Polachek.
(Dimitra Gurduiala)
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3. THE MURDER CAPITAL
Gigi’s Recovery
[ Rough Trade ]
La nostra recensione
Nulla è, ormai, gratuito, quel filo invisibile che lega “Existence” ad “Exist” – l’inizio e la fine, la notte e il giorno, l’inverno e l’estate, la sofferenza e la gioa – per poi riportarci, puntualmente, all’inizio dell’uroboro, rappresenta la nostra stessa vita, con tutte le sue ossessioni virtuali, le sue conquiste tecnologiche, i suoi paradisi artificiali, i suoi inferni emotivi, le sue terribili e claustrofobiche spirali di competizione. L’importante, però, è tornare con la consapevolezza di aver acquisito quelle conoscenze e quelle sensibilità tali da consentire alle nostre fragilità umane, alle nostre debolezze e ai nostri difetti di trasformarsi in una minuscola luce capace di illuminare il nostro cammino e quello di coloro che ci sono accanto, distogliendoci dalle false apparenze, dalle verità di parte, dalle estetiche di consumo, dalle manipolazioni digitali. Questo disco è il tentativo di cinque persone, ma anche di tutti noi, di riallenarci con la poesia, con la natura, con la verità, con i nostri sentimenti, con tutto ciò che ci consente di sopravvivere, confortare ed essere confortati.
(Michele Brigante Sanseverino)
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2. SLOWDIVE
Everything is Alive
[ Dead Oceans ]
La nostra recensione
“Shoegaze is Alive” potrebbe intitolarsi il ritorno degli Slowdive. Poco o nulla è cambiato rispetto a trent’anni fa. La band si mantiene rilevante, artisticamente e commercialmente, nonché fedele al sound e all’epoca che li contraddistingue. E questo è, al contempo, il loro merito e il loro limite. Mentre il disco emoziona con una sequenza che travolge: “shanty”, “prayer remembered”, “alife”, “andalucia plays”, “kisses”…Tutti nuovi classici che alzano l’asticella di una ormai lunga carriera.
(Giovanni Davoli)
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1. BLUR
The Ballad Of Darren
[ Parlophone Records ]
La nostra recensione
Le connessioni sono ovunque, eppure il mondo non è mai sembrato così disunito, mentre, intanto, tutto quello che ci dicono, tutto quello che ascoltiamo, tutto quello che ci propongono – a livello politico, sociale, economico, filosofico, culturale, artistico o musicale – appare solamente l’ennesimo deja-vu; un deja-vu, intriso di populismo ed arroganza, che, anche nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, ci spinge ed esorta a giudicare gli altri, a criticarli, a costringerli a rientrare in quei canoni di correttezza che abbiamo globalmente abbracciato, senza, in fondo, farci alcuna domanda. Ma la cosa triste è che sotto, sotto tutto questo ci piace; ci piace costruirci i nostri scanni virtuali di santità e metterci lì a minare l’esistenza dei nostri partner, dei nostri amici, dei nostri familiari, dei nostri colleghi o dei semplici sconosciuti che incontriamo per strada, di inutili paure, di rimorsi esagerati, di frasi cattive, di parole sferzanti.
(Michele Brigante Sanseverino)
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