Che la Fennell senta bisogno di un po’ di sensazionalismo per fare il punto nei suoi film lo si era già capito molto bene nel suo esordio “Promising Young Woman”. Purtroppo la cosa non cambia in questo nuovo “Saltburn”, anzi viene forse amplificata. Ed è un peccato.
Sorta di coming of age perverso e politicamente scorretto al crocevia tra “Euphoria” (della quale mutua la tendenza videoclippara e la componente queer) e “Parasite” (tirato invece in ballo dalla tematica dell’infiltrazione in una classe sociale superiore e anche praticamente citato nella scena della falena), il film inizia infatti molto bene e sviluppa la sua trama in maniera anche sorprendente. Sbalordendo per come si trasforma in corso d’opera da storia di formazione a horror sociale.
A un certo punto qualcosa però si rompe e le numerose scene disturbanti che tempestano “Saltburn” sembrano cacciate un po’ a caso, esasperate affinchè se ne parli. Alcune sono anche interessanti e funzionali, ma vengono davvero tirate per le lunghe e “stroppiano“.
Il peccato è ancora più grande se si pensa che queste superfluità inficiano un prodotto non solo testualmente intrigante, ma anche visivamente d’impatto (sia nella sua parte invernale a Oxford che in quella estiva nella tenuta che lo intitola) e che fa un egregio utilizzo della colonna sonora, elemento davvero attivo nel disegnare il contesto culturale. È abbastanza superfluo anche lo spiegone finale sotto forma di flashback, messo lì quando ormai hanno capito tutto anche gli spettatori meno mentalmente agili.
Si sta dicendo tanto bene di Barry Kheogan, che in realtà gioca facile grazie a un personaggio protagonista davvero sopra le righe. Invero l’intero cast giovane del film fa una grandissima figura.