10. FATOUMATA DIAWARA
London Ko
[ 3eme Bureau / Wagram Music ]


La cantante maliana propone una sorta di rock’n roll cantato allo stile tradizionale wassoulu. Che questa musica, fatta da artiste cresciute in ex colonie francesi (ricordo anche Oumou Sangare e Rakia Konè), abbia oggi conquistato anche l’Europa, la quale a sua volta era musicalmente cresciuta contaminandosi con tutta la tradizione americana a forte impronta black, a sua volta discendente delle tradizioni proprio dell’Africa occidentale, beh, qualcosa significherà.

9. PJ HARVEY
I Inside the Old Year Dying
[ Partisan Records ]
La nostra recensione

Anche PJ Harvey ha battuto un colpo in questo 2023. E che colpo. In “I Inside the Old Year Dying” vira verso una sorta di folk che la rende una Joni Mitchell degli anni ’20, ma senza alcuna forma di revival passatista. Un disco concettuale, introspettivo e a tratti monocorde, ma con alcuni picchi. Cantato con il solito marchio di fabbrica della nostra ed eseguito con la solita impeccabile volontà d’incidere.

8. SLOWDIVE
Everything is Alive
[ Dead Oceans ]
La nostra recensione

“Shoegaze is Alive” potrebbe intitolarsi il ritorno degli Slowdive. Poco o nulla è cambiato rispetto a trent’anni fa. La band si mantiene rilevante, artisticamente e commercialmente, nonché fedele al sound e all’epoca che li contraddistingue. E questo è, al contempo, il loro merito e il loro limite. Mentre il disco emoziona con una sequenza che travolge: “shanty”, “prayer remembered”, “alife”, “andalucia plays”, “kisses”…Tutti nuovi classici che alzano l’asticella di una ormai lunga carriera.

7. THE BLACK DELTA MOVEMENT
Recovery Effects
[ Fuzz Club ]

The Black Delta Movement non passeranno alla storia, malgrado 8 tracce e 44 minuti di psych rock da manuale. Ma ci fosse stato qualcuno che l’azzeccava 50/60 anni fa la formula di questa band, avremmo fatto loro una statua. Di fatto, con il loro sound classico, eppure così attuale e urgente, The Black Delta Movement rappresenterebbero la band che ci vorrebbe per ridare smalto e appeal a un macrogenere, il rock, che non ha un futuro presso le nuove generazioni, se non per i motivi e le band sbagliati.

6.  CAT POWER
Cat Power Sings Dylan: the 1966 Royal Albert Hall Concert
[ Domino Recording ]
La nostra recensione

Cat Power ci ricorda cosa sono queste canzoni, da dove vengono, da quale tradizione classica. E oggi, “Mr. Tambourine Man” piuttosto che “Like a Rolling Stone” o “Just Like a Woman”, per limitarci alle tracce più famose di questa raccolta, sono anche loro dei classici e chiunque le riconosce immediatamente quando la Power le intona. Allo stesso tempo, chiunque rimane stregato dalla sua interpretazione, persino chi come me non è un fan particolarmente sfegatato di Dylan (o della stessa Power a dirla tutta). 

5. KERALA DUST
Violet Drive
[ Play It Again Sam ]
La nostra recensione

“Violet Drive” ti inchioda nell’ascolto senza fare troppa fatica. E ti mantiene lì, ad ascoltare una serie di soluzioni e sfumature, che forse non sono particolarmente originali, ma che mantengono ugualmente alta l’attenzione dopo una serie di ascolti. “Violet Drive” si muove in uno scenario “downtempo” in cui tutto è consentito. L’elettronica e l’acustica. Il blues e la new wave. La psichedelia e il pop. Il risultato è rotondo, orecchiabile ma profondo. Convince e può piacere agli ascoltatori più diversi.

4. MASSIMO SILVERIO
Hrudja
[ Okum ]
La nostra recensione

Massimo Silverio commuove l’ascoltatore e convince come artista compiuto, maturo, paziente, capace di lavorare un decennio su una canzone, come racconta. E riempirla di diversi strati: la poesia, l’osservazione di ciò che è fuori e dentro di lui, l’ascolto e la trasposizione della grande musica altrui. Fino alla catarsi che questo disco, il suo primo LP, rappresenta per lui e che, se c’è un Dio della musica non potrà che riconoscergli gli onori e il rispetto che merita.

3. DANIELA PES
SPIRA
[ Tanca ]
La nostra recensione

Dalla scuderia, ammesso che esista, di Iosonouncane, arriva Daniela Pes dalla Gallura, Sardegna. Un disco cantato nel suo dialetto, in cui esplode un’artista con enormi capacità vocali, al servizio di melodie che stregano, sopra a un tessuto sonoro complesso e stratiforme. Il singolo “Carmè” è da pelle d’oca, per dirne una. La cantautrice che non ascolterete a Sanremo, temo (o spero), in quanto non canta nemmeno in italiano. Ma di cui possiamo finalmente essere fieri anche fuori dello stivale.

2. IOSONOUNCANE
Qui noi cadiamo verso il fondo gelido
[ RCA / Tanca Records ]
La nostra recensione

E’ un live, ma zeppo di inediti e non poteva non entrare nei piani alti della classifica. “IRA” vi era piaciuto ma lo trovavate troppo lungo e dispersivo? Iosonouncane rilancia con due ore di registrazioni live, in parte improvvisate, in cui se non vi è finalmente chiara la sua grandezza, se non siete completamente presi, allora è inutile che ne parliamo. Con Iosonouncane l’Italia torna a produrre, nel campo della musica d’autore, qualcosa che rimarrà rilevante negli anni a venire anche fuori dai confini nazionali.

1. STEVEN WILSON
The Harmony Codex
[ Virgin ]
La nostra recensione

Nel suo fluttuare tra il commerciale e lo sperimentale, “The Harmony Codex” potrebbe essere il più bel disco solista di Steven Wilson. Il più maturo, il più versatile e quello, direi, più ispirato dall’inizio alla fine. Bella novità per un’artista che, per quanto grande e spesso visionario, non sempre riusciva a mantenere questo livello di concentrazione (per sé e per l’ascoltatore) lungo un intero album.