Lontani discograficamente da quasi dieci anni (il loro precedente album “Burn/Smother”, il secondo dopo l’esordio datato 2008, risale al 2014), i catanesi Long Hair In Three Stages sono tornati sul finire del 2023 con un disco che ne conferma appieno quelle qualità che li fanno emergere quali portatori tricolori di un vessillo che guarda ben più in avanti come orizzonte, in quegli States contrassegnati da band che hanno fatto la storia di certo alternative rock (dai Fugazi agli Hüsker Dü, senza ovviamente scordare Shellac o U.S. Maple a cui devono il nome).

Long Hair In Three Stages - credit press
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È  evidente inoltre come nel dna di Giuseppe Iacobaci e soci ci sia anche l’esperienza straordinaria dei concittadini Uzeda, un’istituzione in ambito noise-rock che dagli anni novanta seppero trovare estimatori fedeli anche in terra americana.

Mettendosi all’ascolto delle undici tracce che compongono “The Oak Within the Acorn”, si rimane travolti da un’ispirata ondata di furore “ragionato”, mi verrebbe da dire, dove ogni parola e ogni suono su cui viene innestata non sono mai fini a se stessi, ma pregni di significati che danno un valore aggiunto all’intera opera.

Sono tanti i temi toccati in questi brani che non lasciano indifferenti, e che riguardano tutti noi, la nostra sensibilità non solo come ascoltatori ma soprattutto come cittadini, sin dalla coinvolgente e spigolosa “Dunning-Kruger-Voight-Kampff” e dall’incalzante e accorata “The Blue Frontier” che ci racconta le tragedie del mare, argomento ahimè sempre attuale e che qui fa riferimento alle centinaia di vittime al Largo di Lampedusa di dieci anni fa.

Il connubio musica-parole funziona ottimamente perché la prima non è mai preponderante sulle altre, e se in determinate occasioni è la sferragliante e istrionica chitarra di Fabio Corsaro a prendersi la scena, altre volte invece è la possenza in equilibrio della sezione ritmica formata dal bassista Santi Zappalà e il batterista Giovanni Piccinini a dare quel quid in più, come accade in una “Tired” splendida nella sua cupezza.

I Long Hair In Three Stages non sembrano essere stati scalfiti dalla nuova ondata post-punk – anche perchè come detto loro sono venuti prima e di certi stilemi cari al genere ne avevano già chiari i connotati – eppure hanno mantenuto una freschezza compositiva che un po’ li accomunano alla suddetta scena, in particolare per il caratteristico cantato di Iacobaci, chiaro e nitido, eppure urgente, nell’affrontare temi quali il patriarcato (in “Mysogynocyde”) o la pornografia (in “Pornest Song Ever”).

Colpisce oltremodo poi, staccandosi dal resto della scaletta, l’episodio in dialetto siciliano “Nunzio Frajunco” su un momento storico di rilievo come l’arrivo dei Mille di Garibaldi in Sicilia, che, sarà una mera suggestione, mi ricorda le atmosfere di migliori Massimo Volume.

E’ un album ricco di spunti e di contenuti “The Oak Within the Acorn”, curato nei minimi dettagli, come si evince anche dalla bellissima confezione contenente un prezioso libretto, a ulteriore testimonianza di quanta passione e di quanto amore per la musica e, direi, rispetto per la propria proposta, vi siano ad animare i Nostri.

Una proposta indiscutibilmente e fieramente underground ma che meriterebbe di emergere in superficie e farsi scoprire da un pubblico più vasto.