Con il finire degli anni ottanta, stava volgendo al termine anche l’esperienza gloriosa dei CCCP- Fedeli alla linea: ok, nel 1990 ci sarebbe stato tempo per l’ultimo disco pubblicato con quella sigla, ma in fondo “Epica Etica Etnica Pathos” rappresentava già qualcos’altro. Era cambiato lo stile, musicalmente i brani avevano una forma differente, meno scarna, così come più meditati e meno sloganistici apparivano i testi.
C’era stata l’unione tra il nucleo storico emiliano (Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella e Fatur) e la parte di musicisti fuoriuscita dai Litfiba (composta dalla sezione ritmica – Gianni Maroccolo al basso e Ringo De Palma alla batteria -, più Francesco Magnelli e Giorgio Canali, che in forme diverse collaboravano da tempo con la rock band fiorentina) e questo aveva comportato prima di tutto un buon sodalizio umano. Quell’ultimo disco fu registrato in un casolare a Rio Saliceto (Villa Pirondini), e l’esperienza fu certamente positiva, considerando il modo diverso in cui avevano lavorato.
Tuttavia, era evidente che non ci fosse futuro per i CCCP, e nel periodo successivo ognuno dei componenti sembrò ricavarsi del tempo per se’, come a svuotarsi dopo tanti anni condivisi passati sui palchi.
Però quella strana congregazione di talenti non poteva disperdersi per sempre, e con Maroccolo abile a lavorare bene ai fianchi, alla fine le occasioni di ritrovarsi non mancarono. Dapprima per obiettivi professionali comuni, quando le due etichette indipendenti fondate dall’ala emiliana (“I Dischi del Mulo”) e quella toscana (“Sonica”) si unirono creando il “Consorzio Produttori Indipendenti” (C.P.I) e poi finendo per suonare di nuovo insieme in occasione di un progetto significativo (il “Festival delle Colline”), tenuto presso il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato.
Affiancati da Üstmamò e Disciplinatha, due band ingaggiate dal C.P.I., il 18 settembre del 1992 i Nostri imbracciarono di nuovo gli strumenti e misero il cuore al servizio del pubblico, in un concerto passato poi ai posteri grazie all’album “Maciste contro tutti”, in cui fu immortalato l’evento.
Annarella e Fatur non facevano parte di questo nuovo gruppo, d’altronde non c’era più bisogno in quel momento della componente di immagine e simbolismo, così dannatamente importante nei CCCP.
Ribattezzatisi Consorzio Suonatori Indipendenti, con una mossa geniale che ancora traeva spunto da ciò che stava accadendo in Unione Sovietica (quando la disgregazione dell’URSS – o CCCP appunto – aveva portato alla Comunità degli Stati Indipendenti, C.S.I.), Ferretti, Zamboni, Maroccolo, Magnelli e Canali erano giunti, forse senza rendersene conto davvero, a un nuovo inizio che avrebbe segnato ugualmente, seppur in maniera diversa, la storia della musica italiana.
Quel concerto poteva rimanere magari un fatto estemporaneo, ma in realtà la miccia era stata riaccesa e così, non dopo poche riflessioni, i neonati C.S.I. si erano prefissati di realizzare qualcosa di sostanzioso insieme, un disco nuovo di zecca, il primo con quella denominazione.
Fu scelto ancora una volta un luogo di lavoro particolare, dove poter avere la libertà totale di creare, senza vincoli di orari da classico studio di registrazione; di fatto non esistevano ancora delle canzoni, non c’era del materiale all’orizzonte da cui partire, ma emigrando tutti insieme in Bretagna (per la precisione a Finistère, al “confine della terra”, o per dirla in bretone “alla punta del mondo”), meta che si rivelò oltremodo decisiva, la scintilla dell’ispirazione andrà a investire tutti i protagonisti, che furono baciati da uno stato di grazia autentica.
Nacque così nella casa comune di Le Prajou il disco d’esordio dei C.S.I., intitolato “Ko de mondo”, che sempre per un riuscito gioco di parole univa al suo interno più significati, da quello più letterale (k.o. del mondo, inteso quello occidentale) a un altro che intendeva nonostante la distanza fisica rimarcare le origini, visto che Codemondo è il nome di un piccola frazione alle porte di Reggio Emilia (che va tradotto dal dialetto come “capo del mondo”).
Al disco lavorarono anche Pino Gulli alla batteria, Alessandro Gerby alle percussioni e la giovane cantante Ginevra Di Marco, compagna di Magnelli, che da quello successivo sarebbe entrata in pianta stabile, e sempre più come protagonista, nella formazione.
Riascoltando l’album a 30 anni dalla sua pubblicazione, risulta invariata quella magia originaria, rimangono preponderanti le parole, poetiche, affilate, disilluse, provocatorie, consolatrici, di Ferretti, persiste il suo canto così espressivo eppure algido, lucidissima la sua visione, con versi che avremmo anche scoperto essere profetici solo decenni dopo (“non fare di me un idolo/mi brucerò/se divento un megafono/mi incepperò”, da “A tratti”); e poi quelle musiche magnifiche, che nulla hanno perso del loro fascino, ancora potenti e suggestive, oscure e abrasive, perfette per declinare il rock nelle sue molteplici forme, plasmando in questo modo qualcosa di assolutamente originale nel panorama nostrano.
Scorrere l’elenco dei brani ci permette di comprendere quanto tutti fossero “necessari”, fondamentali per la riuscita di un’opera il cui peso specifico per l’avvio e la successiva esplosione del “nuovo” movimento del rock alternativo italiano, era elevatissimo e, a ben pensarci, evidente sin da allora.
“È stato un tempo, il mondo,giovane e forte/odorante di sangue fertile”, intona Ferretti all’inizio di “Del mondo”, tra le canzoni più iconiche e paradigmatiche del disco, con uno spessore lirico e musicale che potevi quasi palpare, ma all’interno di “Ko de mondo” c’è spazio pure per la struggente bellezza di “Intimisto” (“mi rubi il tempo/mi rubi l’energia/non ascolti il lamento/non ascolti il richiamo… “, e poi “e gli occhi tuoi mi rubano la luce/perché tu possa splendere nei miei”) e per la cavalcata melodica de “In viaggio”. Come scritto poco sopra, però, ogni episodio della scaletta è memorabile e meriterebbe una doverosa citazione!
“Ko de mondo” fu accolto tra il plauso unanime della critica specializzata e presto baciato da un buon successo di pubblico (non solo composto da nostalgici dei CCCP), e se è vero che i successivi “Linea gotica” e “Tabula rasa elettrificata” sapranno issare il nome dei C.S.I. sempre più in alto, non si può non riscontrare come tutti i crismi della leggenda fossero già contenuti in questo primo, imperdibile, capitolo discografico.
Data di pubblicazione: 19 gennaio 1994
Registrato: presso “Le Prajou” a Finistère, nell’estate del 1993
Tracce: 12
Lunghezza: 54:59
Etichetta: I Dischi del Mulo
Produttore: Consorzio Suonatori Indipendenti
Tracklist:
1. A tratti
2. Palpitazione tenue
3. Celluloide
4. Del mondo
5. Home Sweet Home
6. Intimisto
7. Occidente
8. Memorie di una testa tagliata
9. Finistère
10. La lune du Prajou
11. In viaggio
12. Fuochi nella notte (di San Giovanni)