Il sottovalutato senso di appartenenza ad una band. Ed al proprio personaggio. Samuel T. Herring, cantante e leader dei Future Islands, gigioneggia fra le due caratteristiche sopraccitate con un fare decisamente cool e con un magnetismo innato che sembra provenire direttamente dal decennio più amato dal singer di Baltimore, quegli 80s così dannatamente (onni)presenti in questo primo quinquennio di Anni Venti e nella proposta musicale dei Nostri.
Mettiamo subito le cose in chiaro: sono ritornati con un gran disco, i Future Islands. “People Who Aren’t There Anymore”, infatti, è un lavoro che si lascia ascoltare con estrema fruibilità. Basta veramente poco, in effetti, per lasciarsi trascinare dalle note in odor di epica della bella traccia apripista, “King Of Sweden”, dove i Future Islands – ed in particolar modo, il loro carismatico frontman – maneggiano le parole come ombre sulla luna.
Già. Perché versi quali “Ho incontrato il re di Svezia quando camminavo sotto i fari/ Annegando in una sbornia/Congelato in una luce rossa” trasudano di vita vissuta e denotano tutta la malinconia del periodaccio attraversato (negli ultimi tempi) proprio da Samuel T. Herring. “The Tower”, invece, è uno di quei pezzi dalla vernice dorata che rivestono il disco in questione come quadri Impressionisti di fine Ottocento. Tradotto in soldoni: rappresenta uno degli highlights più convincenti di questo “People Who Aren’t There Anymore”.
Nel trittico di brani che parte da “Deep In The Night” – passando per “Say Goodbye” – fino ad arrivare a “Give Me The Ghost Back”, sembra quasi di ascoltare una stazione radiofonica di metà Eighties. Cascate di synths e ritornelli che impregnano la mente come scene tragicomiche di un film di John Hughes, condiscono di un retrogusto ancor più accattivante un album che va ascoltato con appassionata dedizione per scorgerne gli angoli più significativi. “The Thief”, per esempio, è un altro di quei pezzi in cui il vecchio Samuel si muove a proprio agio in un territorio – piuttosto patinato, in verità – che si affaccia dalle parti dei New Order e di tutti quei gruppi (synth-pop, new-wave) di cui i Future Islands sono devotissimi discepoli.
Mentre “Peach” e, soprattutto, “The Garden Wheel”, fra gustose linee di basso ed ossequiosi ammiccamenti alle band di cui sopra, fanno calare – in maniera maledettamente esaltante – il sipario su di un disco che non avrà la solennità scanzonata di “Singles” (2014) – l’album di “Seasons” e dell’ormai celebratissima esibizione al “Late Show” di David Letterman, tanto per intenderci – ma che ripresenta, nell’affollatissimo proscenio del mainstream musicale del 2024, una band in grande spolvero.
Nei dodici brani che compongono la tracklist di “People Who Aren’t There Anymore”, vi è tutta la filosofia musicale di Herring e soci. E cosa dire della splendido artwork dell’album realizzato dall’artista di New Mexico, Beedallo? Quando musica ed originalità s’incrociano in maniera così poetica, quel che ne esce fuori non può essere altro che Arte.