Iniziare l’anno con un altro buon solidissimo album di Ty Segall promette bene per la qualità della musica nel suo più alto valore e concetto, come dire che ancora una volta alla sua quattordicesima uscita in una manciata di anni, il fenomeno di Laguna Beach riesce a non calare un filino del suo talento, dando continuità ad una parabola che rasenta il miracoloso, che ha già i crismi di una carriera esemplare, che passo dopo passo diventa sempre più consistente punto di riferimento per gli amanti ma anche per tutti coloro che avrebbero bisogno ogni tanto di certezze.
In “Three bells” ci sono 15 canzoni che solo un superficiale e pregiudizievole ascolto potrebbe considerare eccessive, mentre sono il frutto della sempre alta vena compositiva del leader, marchio di fabbrica del suo operato vista la mole produttiva, invidiabile forza surgiva , grazie alla quale, rimanendo nei suoi canonici territori, escono in modo semplice una marea di idee, di espansioni dell’espressività sotto forma di canzoni, che ai più servirebbero delle decadi, di ispirazione.
In particolare, oltre a dei classici proto r&b qui presenti (“Hi Dee Dee” ma altre) e a meraviglie come “My room” o “My best friend”, dove si introducono elementi pop all’interno di un sublime psych rock, in generale l’album tende ad espandere le capacità compositive, mischiando i generi velocemente e provando ad azzardare connubi modulari (vedasi le prime due botte “The bell” e “Void”, spiazzanti nella loro indefinita evoluzione), grazie alla messa alla prova del consolidatissimo trio di musicisti che accompagnano Ty, tra situazioni di un psyck folk malato , piuttosto che in code strumentali quasi effetto live, qualche accenno di fuzz, o in varianti weird (“Eggman”).
Ne deriva un insieme corposo di maturo e allo stesso tempo disinibito piacere, che traspare dalla coesione della band, che asseconda la verve positiva di Segall con una sensazione che si potrebbe rappresentare fisicamente, dal basso sinuoso, da come si modulano i tanti diversi temi dei brani, da come si inseguono le sfuriate chitarristiche o le parti morbide all’acustica: prendiamo un brano come “Reflections” che ha la particolare capacità di rimanere ancorato ad una languida chitarra e ad un falsetto che spazia su un basso vibrante, una canzone calibrata e di una bellezza sospesa , che unisce i musicisti in un flusso emotivo condiviso ed inespresso di mirabile equilibrio.
Insomma, c’è n’è per tutti i gusti e per tutti i momenti, in un genuino senso di rinnovato entusiasmo che non è mai mancato all’autore e che in “Three bells”, raggiunge un tassello ancora più definito di accenno di maturazione.