Circa il cinquanta per cento per di quello che si vede in “Boy Swallows Universe” è successo davvero a Trent Dalton, autore del best seller da cui questa serie australiana è tratta.
Tolte piccole profezie, visioni intergalattiche, telefoni senza fili che ricevono chiamate dal futuro e vari altri elementi che spolverano il contesto white trash australiano anni ’80 di una sorta di dolce realismo magico, sarà facile capire cosa è successo davvero ai piccoli celati dietri i dolcissimi e resilienti Gus e Eli. E non e bello e fa male.
Lutti, dita e altri arti mutilati, terribili crisi d’astinenza, mentori non proprio ortodossi e bulli scolastici muniti di katana: “Boy Swallows Universe” non risparmia nulla, in termini di dolore quanto di creatività. Così come la sceneggiatura, se le serve a raccontare qualcosa, non si lascia scappare un genere e lascia che il tessuto indie/retromaniaco inglobi giallo giornalistico, coming of age, horror, dramma carcerario et cetera et cetera.
C’è forse qualche momento di stanca, qualcosa che non scorre come potrebbe, ma è davvero fare le pulci a un’opera necessariamente sovraccarica che trova nell’amore nonostante tutto, quello che spazza via ogni cosa, il suo motore infaticabile.
Davvero buono il parco attori, con il piccolo scugnizzo maori Felix Cameron a fare però il culo ai più grandi.