Del loro entusiasmante, secondo album (degno erede dell’altrettanto interessante L’Altra Faccia Della Luna) – intitolato “T.R.I.P.” ne abbiamo già parlato: si tratta di uno dei lavori più belli pubblicati in questo primo scorcio di anno. Già. Perché i Carver sono riusciti a creare un’opera dalle sfumature luccicanti, caleidoscopiche, che mettono in risalto un sapere musicale decisamente al di sopra della media.
Sono due musicisti veri, Marco M. Colombo e Matteo Cantaluppi, poco da dire. Del resto, il loro excursus musicale parla da solo: Colombo, infatti, oltre ad essere voce e penna dei Nostri, è anche un brillante autore di romanzi. In passato, tra l’altro, si era già fatto notare tra le fila dei Motel 20099. Matteo Cantaluppi, invece, è uno dei producer più richiesti ed in voga dell’attuale scena italiana (Da Francesco Gabbani ai Thegiornalisti). In pratica, un connubio quasi perfetto.
A tal proposito, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di poter scambiare qualche chiacchiera con loro e più in particolare con il sopraccitato Marco M. Colombo. Ne è venuta fuori un’intervista piuttosto interessante, in cui il “mondo” dei Carver è stato sciorinato in ogni sua sfumatura.
Ciao Marco. Lasciami dire che è un vero piacere chiacchierare con te di buona musica. Anzi, ne approfitto subito per porti la prima domanda: trovo che tra i meandri di “T.R.I.P.” aleggi un certo amore – neanche tanto velato – per l’immaginario cinematografico. Sei d’accordo?
È innanzitutto un piacere per noi, siamo molto contenti che il disco vi sia piaciuto. Per i Carver affrontare il concepimento e la stesura di ogni lavoro è un qualcosa che ha molto a che fare con l’immaginario cinematografico. Decidiamo un tema di base in funzione di suggestioni comuni, e poi sviluppiamo un impianto narrativo e musicale che vi si adatti, fino ad arrivare ad un concept che abbia volutamente un andamento cinematico. Oltre a ciò, per ogni album abbiamo abbinato dei video che ci dessero ancor più correlazione con il mondo del cinema. Per T.R.I.P: abbiamo collaborato con il visual artist Federico Russo che lavorando con l’Intelligenza Artificiale ha prodotto un film che si snoda per tutta la durata del disco e che ne è assolutamente complementare per la fruizione di tutto il progetto.
Un altro aspetto ricorrente che emerge ascoltando le tracce di “T.R.I.P.” è quello relativo al viaggio…
Nel caso specifico di T.R.I.P. come del resto è evidente fin dal titolo, si. Come spesso accade, molte cose succedono incidentalmente, in maniera quasi magica. Dopo un mio viaggio in Nepal e Tibet, dove avevo raccolto un sacco di registrazioni ambientali e vocali, e avendo letto in quel periodo un bellissimo libro di Charles Duchaussois sulla cultura hippy, confrontandomi con Matteo, ho scoperto che in quel momento eravamo sulla stessa lunghezza d’onda rispetto alle suggestioni personali. Teo mi ha consigliato un libro inclassificabile e meraviglioso “Complotto!”, che partendo dalla folle parabola della band house inglese KLF diventa un trattato filosofico di magia, arte, musica e situazionismo. Abbiamo messo tutto nel frullatore e ne è uscito T.R.I.P. che naturalmente è anche la somma delle nostre influenze che ci portiamo dietro da una vita circa il viaggio, sia reale che metaforico: la beat generation, la musica elettronica e quella ambient, la psichedelia e tanto tanto altro.
Personalmente, invece, ho un debole per ““BBB (Black Bombay Beat)”, ritengo il brano in questione un pezzone degno del miglior Mura Masa. Che ne pensi di questo accostamento?
E’ un accostamento che ci fa piacere e ci inorgoglisce nonostante l’artista inglese non sia tra le nostre influenze più dirette. Black Bombay Beat è un pezzo ipnotico che appena Teo mi ha fatto ascoltare ho pensato che il campionamento della voce di Allen Ginsberg che continua ripetere “madness, hysterical, naked, jazz” gli potesse dare un ulteriore elemento di ossessività, e mi pare abbia funzionato.
Entrando un po’ più nella sfera personale, qual è la stata la prima “scintilla” che ti ha fatto scattare l’amore per la musica?
I viaggi in auto con mio papà da bambino. Ascoltavamo un sacco di musica dai Beatles ai cantautori italiani, e mi accorgevo che certe cose mi arrivavano addosso a mille all’ora come una fucilata emotiva. Se devo identificare la scintilla che ha provocato l’incendio, non ho dubbi, sono quei viaggi in automobile. E qui, inconsapevolmente torna il tema del viaggio correlato alla musica.
Tu e Matteo siete entrambi degli ottimi musicisti-producer: in che misura è cambiato l’universo musicale negli ultimi quindici anni? E quanto cambierà nei prossimi quindici? L’intelligenza artificiale, in pratica, ha già invaso il “territorio” ...
Come per ogni cosa anche l’Intelligenza Artificiale, essendo solo uno strumento, dipende come verrà utilizzato. Pensiamo possa esserci un utilizzo creativo che non solo non toglierebbe niente alla musica, ma anzi, potrebbe rappresentare un nuovo elemento col quale relazionarsi e dare sfoggio alla creatività. Naturalmente esistono anche dei pericoli a riguardo, ma crediamo che possano esserlo per un certo tipo di musica, non di certo per quella dei Carver. Negli ultimi quindici anni la scena alternativa è in pratica scomparsa, e la perdita è molto evidente. Seppur con tutte le sue contraddizioni, rappresentava nella sua forma migliore, il giusto contrappeso al mainstream. Oggi personalmente percepisco un grande mercato che ingloba tutto e chi non ne fa parte in sostanza è come se non esistesse. È un argomento troppo complesso e articolato per essere sviluppato in poche righe, ma credo che questa dinamica non sia esclusività della musica, è un qualcosa di culturale che coinvolge anche molto altro. Per semplificazione estrema: i numeri sono tutto e senza i numeri non sei niente.
Tornando all’album, trovo che “T.R.I.P.” sia come uno scrigno pieno di sorprese e che bisogna ascoltarlo più e più volte per coglierne appieno tutte le sfumature che lo compongono. Voglio dire, non è da tutti spaziare da un beat che sembra quasi “Anni Novanta” a degli echi in odor di Pink Floyd…
Quando abbiamo pensato a T.RI.P. l’idea di base era spaziare musicalmente nella psichedelia a tutto tondo, tra tutte le nostre influenze e le nostre passioni, senza limiti o preclusioni. Dai Pink Floyd ai Chemical Brothers passando per la musica ambient, il kraut rock, la techno e la acid house. Un viaggio a trecentosessanta gradi in quello che per noi doveva essere un’immersione senza tempo in un hippy trail musicale che si sposasse con una narrazione altrettanto evocativa.
Com’è nato il vostro connubio? E come definireste il vostro sound a chi vorrebbe approfondire l’universo “Carver”?
Matteo è prima di tutto un amico, ma anche un maestro di musica ed una fonte d’ispirazione per me. Il nostro connubio nasce semplicemente dalla voglia di fare qualcosa che ci piace e ci diverte. Forse sembra un po’ troppo riduttivo detto così, perché i nostri lavori sono molto stratificati, professionali, tecnicamente impeccabili e si sviluppano su vari livelli di comprensione, ma divertimento e piacere personale nel fare qualcosa che ci piace è proprio il nostro modo di concepire i Carver.
Ringraziandoti per la chiacchierata, colgo l’occasione per un’ultima domanda: avete qualche altro progetto che bolle in pentola?
Grazie mille a voi, stiamo già pensando al prossimo lavoro, che vogliamo si discosti molto sia da T.R.I.P. che dal precedente “L’altra faccia della luna“. Vorremmo fare un ulteriore passo avanti verso il nostro percorso personale narrativo e musicale, magari con un argomento molto controverso. Vedremo.