Quando, 10 anni fa, uscì “Lights”, mai ci saremmo aspettati di dover attendere tutto questo tempo per un nuovo album dei Fauns, adorabile band di Bristol che in pochi anni si era ben distinta in ambito shoegaze grazie a due ottimi dischi. Invece l’attesa per “How Lost” è stata davvero lunga: ben ripagata, certo, ma lunga. Michael Savage, bassista, si sofferma sul nuovo album e su come il sound del gruppo, in questo lungo periodo, sia cambiato.
L’intervista, nella sua forma originale, è contenuta sul numero 521, gennaio 2024, di Rockerilla
Ciao Michael, inizierei con una domanda che mi fa sorridere. Nel novembre 2014, se non sbaglio, ho assistito ad un vostro concerto a Brescia. Chiacchierando proprio con te, mi assicurasti che il nuovo disco sarebbe arrivato molto presto…sono passati 9 anni. Mi chiedo, a questo punto, se tu stessi scherzando o forse eri davvero convinto che il terzo album sarebbe arrivato a breve?
Ciao Riccardo! Sai che ricordo bene quel concerto e la nostra conversazione? Credo che all’epoca fossi un po’ ubriaco e troppo ottimista. La realtà è che subito dopo la nostra chiacchierata tutti i membri della band hanno avuto bisogno di concentrarsi sulle loro vite personali, quindi il processo è rallentato in modo importante. Successivamente siamo tornati operativi con i tre membri originali, Alison, Guy e io, a cui si è aggiunto Will. Ci dispiace che ci sia voluto così tanto tempo, ma pensiamo che ne sia valsa la pena.
Parliamo in modo approfondito di come si sono sviluppate le registrazioni? Le canzoni sono tutte recenti o ce ne sono alcune che sono nate già molti anni fa?
Tre brani del nuovo album sono stati parzialmente scritti e registrati circa sette anni fa. “Spacewreck” in realtà è addirittura precedente al secondo album, ci sono voluti qualcosa come dodici anni per metterla a punto. Le ultime canzoni sono state scritte tutte negli ultimi tre o quattro anni. C’è stato un processo di recupero, per far sì che i brani più vecchi avessero valori di produzione simili a quelli dei brani più recenti. Stiamo lavorando a nuovo materiale, speriamo di non arrivare ancora a 9 anni.
Hai citato anche tu Will Slater come nuovo membro della band. Come si è inserito nei meccanismi del gruppo e qual è stato il suo contributo?
Alison ha introdotto Will nella band nel 2019 dopo aver lavorato insieme lui per delle colonne sonore. Will è un compositore affermato e apporta un ulteriore livello di rifinitura al processo di scrittura dei brani. È anche un chitarrista straordinario e ha una profonda comprensione e conoscenza dell’aspetto tecnico della scrittura e dell’esecuzione.
Al primo ascolto, credo che i fan dello shoegaze potrebbero rimanere un po’ sorpresi. C’è una forte componente elettronica, che non era presente negli album precedenti. Da dove provengono questi suoni? Forse ascoltate meno gruppi shoegaze e più musica elettronica e dance?
Abbiamo sempre deciso, consapevolmente di evitare i cliché dello shoegaze, quindi questo è solo un altro passo avanti su questa strada. Questo album è una continuazione stilistica dei brani “4AM” e “Lights”. Sia io che Will abbiamo un background nella musica dance e un amore per certi suoni di batteria degli anni 80, quindi l’album è permeato di queste influenze. Tuttavia, è ancora un album shoegaze.
È stato difficile trovare un equilibrio tra le due anime, dance e shoegaze?
È sicuramente un equilibrio difficile, ci sono stati tanti mix di questi brani finché non abbiamo trovato la giusta miscela. Shoegaze e musica dance non sono esclusivi, Ulrich Schnauss e gruppi come Curve e Chapterhouse hanno incrociato questi generi con successo.
La canzone” How Lost”, tuttavia, sembra riportarci ai vostri dischi precedenti. Come è nata questa canzone, che dà anche il titolo all’album?
Abbiamo scritto “How Lost” come fosse un viaggio vago, sognante e un po’ cattivo. Si tratta di lasciarsi immergere e perdersi completamente in quel bagliore. La voce è stata un flusso di coscienza, presa in una sola registrazione, dai recessi della mente di Alison.
La cover dei Freur è bellissima. Da dove è nata l’idea di riprendere in mano un classico come “Doot Doot”?
Ho un rapporto particolare con questo brano da quando l’ho scoperto per la prima volta in una compilation, quando ero ormai alla fine dell’adolescenza. Penso che sia già perfetto sotto ogni punto di vista, quindi è stato un compito piuttosto arduo farne una cover. Penso però che abbiamo fatto un ottimo lavoro, ci siamo assicurati che i fill di batteria fossero riprodotti in modo accurato perché sono piuttosto unici. Tra l’altro, Karl Hyde ha formato gli Underworld dopo i Freur, cosa non da poco, giusto per restare in tema dance.
Mi piace molto l’arrangiamento degli ultimi quattro brani. Sembra che le due canzoni più ballabili del disco siano state racchiuse da confini più shoegaze: lo spazio etereo di “Clear” e la malinconia di “Spacewreck”. È qualcosa che avete deciso di fare di proposito?
Credo proprio che volessimo che l’album arrivasse in chiusura con i brani più ballabili come “Soon” dei MBV alla fine di “Loveless”. “Clear” sembrava un buon punto di rottura a metà strada nell’album. “Spacewreck” invece è piuttosto epica e ci è sembrata un buon modo per mettere la parola fine all’album, è la nostra “Purple Rain”!
A proposito di questo vostro ultimo brano: io adoro il suo lungo ed evocativo finale. Lo avete sempre avuto in mente?
È stato Will a introdurci a questo finale, quello che si sente è in realtà una vera orchestra d’archi. In origine il brano era molto più corto. Abbiamo continuato ad aggiungere e aggiungere. Per me quel pezzo è molto cinematografico, ho in mente un video che un giorno mi piacerebbe realizzare.
Una cosa che ho sempre amato nella vostra musica è il modo di cantare di Alison. Sono felice che anche in questo disco la sua voce sia sempre un tratto distintivo dei Fauns, anche nelle canzoni dall’anima più elettronica. Come nascono i vostri testi?
La voce di Alison è sempre stata completamente immersa nel sound e mai separata dalla musica, usa la sua voce come parte della composizione per dare forma al brano, creando bellissime luci e ombre come con qualsiasi altro strumento, è molto istintivo. Non scriviamo i testi in modo lineare, quindi c’è un sacco di tira e molla all’interno della band. Alcune canzoni sono scritte con un significato in mente. In altri brani il significato sembra apparire dall’universo e noi ci limitiamo a canalizzare il testo.
Ricordo il vostro tour con gli Alcest nel 2014. Anche loro sono una band che ha saputo contaminare lo shoegaze con molte altre influenze. Pensate che il tour con loro abbia influenzato il vostro approccio alla scrittura del nuovo album?
Andare in tour con gli Alcest è stata un’esperienza incredibile. Non ha influenzato la nostra scrittura, ma ci ha dato un’idea del modo in cui si organizza un grande tour e una produzione che potremmo definire teatrale. In questo senso abbiamo imparato molto dagli Alcest.
Grazie ancora per la tua disponibilità Michael. Sono davvero felice di aver potuto parlare con te. Ultime due domande: la prima riguarda i piani per il 2024, immagino che ci sia il desiderio di tornare in tournée. Pensi che con la Brexit potrebbe esserci qualche problema in più a vedervi in Europa?
C’è sicuramente il desiderio di tornare in tour in Europa. La Brexit ha reso le cose molto difficili per le band, anche se a quanto pare ora le cose si stanno un po’ aggiustando. Non posso negarti che sono ancora decisamente triste per questa Brexit, ma ti assicuro che non ci impedirà di tornare a farvi visita.
La seconda curiosità riguarda lo shoegaze in generale…ti saresti mai aspettato che, nel 2023, lo shoegaze e le band shoegaze avrebbero avuto ancora tutto questo fascino e questa attenzione?
Sono rimasto sorpreso dalla risposta travolgente all’annuncio del ritorno dei Fauns. Credo che il genere shoegaze abbia avuto i suoi alti e bassi, ma ora è impossibile non notare che si è affermato come qualsiasi altro stile musicale. Credo che questo sia dovuto in parte al fatto che è un sound ormai intergenerazionale: molti nuovi ascoltatori scoprono il genere attraverso le collezioni di dischi dei loro genitori. Will è andato a vedere gli Slowdive di recente e ha notato che tra il pubblico c’erano molte persone più giovani. Lo shoegaze è qui, ora, per restare!