Abbiamo avuto il piacere di fare due chiacchiere, via mail, con Francesca Bonci, visual artist, videomaker, regista bolognese, che, da diversi anni, ha intrapreso un percorso tutto suo, di sperimentazione e originalità, con un inconfondibile marchio di fabbrica. Come spiegherà meglio lei, sta lavorando molto all’estero, intraprendendo una strada fatta di collaborazioni eccellenti e, già, ricca di soddisfazioni.
Partiamo dall’inizio, dove e quando nasci artisticamente, mi piacerebbe sapere le origini, quindi in che periodo della tua vita arriva una sorta di svolta, tanto da farti pensare “questa è la mia strada”? Credo ci sia sempre quel momento…
Credo di essermi sempre espressa attraverso le immagini fin da piccola, quindi direi in provincia di Torino, dove sono nata, poi da adolescente mi sono dovuta trasferire con la famiglia nelle Marche, in provincia di Pesaro e Urbino, dove passavo molto tempo nelle sale prova dei miei amici e mentre loro suonavano io facevo schizzi, appuntavo pensieri nei miei immancabili quaderni e immaginavo mondi. Dopo il liceo ho frequentato l’accademia delle belle arti dove ho imparato ad usare meglio strumenti e programmi per il montaggio video. Ma se devo dirti un preciso momento in cui penso di aver capito che dovevo perseverare su questa strada, forse è stato piu’ tardi, intorno al 2011 quando stavo lasciando Lisbona, dove avevo vissuto per quasi 7 anni facendo tutt’altro, anche se ogni tanto mi capitava di creare qualcosa.. Ero a pezzi sotto tanti punti di vista e tornare a creare era l’unica cosa che mi faceva stare bene. Avevo gia’ fatto qualche video amatoriale per band di amici e grazie ad internet avevo già avuto contatti con band estere che si erano interessate al mio modo visionario di rappresentare la musica. Stavo anche cominciando a sentire l’esigenza di creare qualcosa che uscisse dai limiti del video musicale, qualcosa che prendesse vita dal vivo come se suonassi letteralmente la musica, ma attraverso le immagini. Cosi’ quando grazie ad un passaparola sempre piu’ crescente sono stata invitata a fare visuals dal vivo in alcuni festival indipendenti europei, soprattutto nell’ambito postrock, dove le band erano piu’ propense ad usare proiezioni durante i live, e ho sentito anche un forte entusiasmo da parte del pubblico, ho capito che poteva funzionare. Ho mollato tutto e mi sono dedicata solo esclusivamente alla mia arte. Poi però è arrivata la pandemia…
Hai un curriculum molto lungo, frutto di tante collaborazioni, soprattutto all’estero, e credo sia difficile rispondere, ma se dovessi scegliere le tre esperienze lavorative più significative del tuo percorso, quali potrebbero essere?
Si, hai ragione e tutte quante hanno veramente un grande valore per me. Ma se devo sceglierne alcune piu’ significative di altre, potrei dirtene 3 in particolare. La collaborazione nel progetto One-Legged Heart, con base a San Francisco, cominciata intorno al 2015, perche’ e’ un contenitore infinito di creatività e stimoli e con Joe, il suo fondatore ho instaurato un’amicizia davvero profonda; quella con l’etichetta londinese di musica sperimentale Specimen Records, che è cominciata durante il primo lockdown e mi ha permesso di essere completamente libera di sperimentare e di lavorare con artisti veramente da tutto il mondo, ma soprattutto di non morire artisticamente e psicologicamente in quel momento terribile e infine, tra le cose piu’ recenti che ho fatto, la collaborazione con Peter Holmström dei Dandy Warhols nel suo fantastico progetto Pete International Airport, per il quale ho realizzato l’artwork per la la cover del suo ultimo album e tre video musicali. Sono una grande fan di entrambi i progetti di Peter e di molto degli artisti coinvolti nel progetto, quindi poter lavorare con qualcuno che hai sempre visto sul palco e vedere il tuo nome sul vinile accanto a tutti gli altri dischi, è stato davvero surreale e poi non posso negare che sia stato uno dei progetti che mi ha dato più visibilità e mi ha permesso di interagire con un pubblico più ampio.
Come nasce il tuo processo di scrittura, l’idea per un clip o per un Visual come viene sviluppata? Fai come i cantautori, che annotano aneddoti ed idee per poi recuperarle ed adattarle ad un progetto X, anche se magari derivanti da altro, oppure prendi in toto un contenuto e ci ragioni a 360 gradi?
Di solito il mio processo si divide in due parti, Nella prima fase cerco di conoscere il più possibile sulla band, sul concept dietro al progetto o all’album o al brano e mi documento attraverso libri o film o internet finché non ci entro dentro e mi appassionano davvero. Cerco di approcciarmi come se fossi un membro aggiunto della band che deve arricchire la canzone o le canzoni nel caso di un visual set dal vivo, cercando di rispettarlo il più possibile. La seconda fase, quella più creativa è puro istinto ed emozione. Succede nella timeline o sulla mia configurazione di dispositivi analogici con cui improvviso. Chiudo letteralmente gli occhi per ascoltare la musica e poi trasformare questa sensazione in visioni, colori, forme anche alla luce di quello che ho imparato e assimilato. Questo modo viscerale di affrontare i progetti crea un legame abbastanza profondo con le persone con cui collaboro e questo è molto gratificante perché è quasi sempre reciproco.
Indie for Bunnies da sempre segue con affetto gli Slowdive. Tu hai avuto la fortuna di lavorare con la divina Rachel Goswell, di recente in Italia. Aneddoti e ricordi che ci puoi raccontare di quel lavoro?
Si è stata una bella esperienza. Ho lavorato con Rachel nell’ambito del progetto Pete International Airport dove Rachel ha scritto insieme a Peter e cantato il brano Tic Tac ed è stato uno dei tre brani ai quali ho avuto il piacere e la fortuna di lavorare. Aneddoti particolari non ne ho, ma posso dire che Rachel è una persona davvero molto dolce e disponibile. Non abbiamo avuto moltissimi contatti durante la realizzazione del video anche perché era molto impegnata con le date del tour, ma mi ha mandato alcune registrazioni mentre cantava il brano da inserire nel video e alcune clip e foto per lei importanti. Ricordo che quando ho visto le clip con questo splendido campo di fiori gialli, ho pensato che fosse lo stesso posto dove avevano girato il video di “Shine” e forse chissà’ un po mi sono lasciata ispirare. Mi sono pero’ scordata di chiederle se fosse effettivamente quello. E’ molto bello avere il privilegio di accedere alla parte più intima delle persone.
Ho letto esserci nuovi video in uscita a breve, quindi quali progetti ci sono per il futuro imminente?
Ho due video già fatti che aspettano solo di essere rilasciati: uno per la band tedesca-canadese Pulse Park e un video per la band olandese No Man’s Valley. Mentre sto ancora lavorando al quarto video per il progetto One-Legged Heart e ad un video per il bellissimo progetto Federale di Collin Hegna, bassista dei Brian Jonestown Massacre con la partecipazione di Alex Maas dei Black Angels (altre due band abbastanza conosciute e che adoro).
Come tutti gli artisti, avrai anche tu un preferito, magari anche irraggiungibile, anche se in questa epoca social, mai dire mai, ma con chi ti piacerebbe lavorare, un sogno nel cassetto?
Il sogno nel cassetto più’ grande è lavorare con Greg Dulli e con gli Afghan Whigs, mia band preferita in assoluto.
Domanda se vuoi più tecnica, da nerd, con che macchine lavori abitualmente e come post produci il materiale? Curiosità, quale software utilizzi?
Il montaggio dei miei video avviene con il software Final Cut su computer Apple. Ho scelto di utilizzare un software abbastanza semplice affinché il mio lavoro avvenga prevalentemente fuori da esso. Il materiale che vado a montare in timeline viene prodotto in svariati modi, da riprese fatte con telecamere o con l’iPhone, illustrazioni, disegni in acquerello, schizzi e dispositivi analogici o app con i quali manipolo le immagini e poi converto nuovamente in digitale e importo nuovamente nella timeline di Final Cut. Durante il primo lockdown ho avuto il tempo e il coraggio di sperimentare per la prima volta alcuni video synth e mixer analogici, che utilizzo collegati a vecchi televisori a tubo catodico e vecchi mixer. Da allora sono stati parte integrante e preponderante del mio setup creativo, ma sempre mescolati con un sacco di altro materiale non necessariamente analogico. Una manipolazione istintiva e continua, spesso improvvisata del materiale, ma non uso mai lo stesso setup. A volte uso cose curiose ed inimmaginabili. Un paio di anni fa ho comprato questo curioso prototipo low- cost chiamato Tapioca Cardboard che e’ sostanzialmente una piccola scatola di cartone che funge da interfaccia costruita per rispondere e interagire a stimoli manuali che vengono captati da un app sull’ iPhone generando immagini o suoni. Non contenta ho fatto entrare questo segnale prodotto dentro un mixer audio responsive collegato alla tv a tubo catodico per vedere cosa sarebbe successo.
Dulcis in fundo, per concludere e salutarti, se ci sono, ma credo di si, artisti e colleghi che stimi particolarmente, sia italiani, sia internazionali?
Ci sono due videoartiste amiche che ammiro particolarmente. Una e’ italiana, ma vive in Portogallo e si chiama Carlotta Premazzi e sotto il nome di Glitch&Flower fa cose interessantissime usando dispositivi biomedici da trasformare in input per la creazione multimediale, in particolare un sensore eeg come input principale per la creazione audiovisiva in tempo reale. E’ una cosa che mi piacerebbe molto sperimentare anche io un giorno. E l’altra si chiama Ionee Waterhouse, americana, ma che adesso vive qua in Italia. Ha fatto del bellissimo mapping dal vivo all’Ypsigrock Festival l’anno scorso. Tra gli artisti che invece non conosco personalmente, ma che amo, c’è Rob Sheridan che ha curato i visuals degli show di Nine Inch Nails e Pushifer per dirne due.
Appendice alla domanda precedente, se il cinema è fonte di ispirazione, quali sono i tuoi registi preferiti?
Il cinema è sicuramente fonte d’ispirazione, ma in una forma decisamente inconscia come lo possono essere i libri.. Amo molto il cinema e i film e i registi sono innumerevoli, quindi l’estetica di qualche regista sarà senz’altro nel mio background. Forse trovo più ispirazione nei registi di videoclip come i piu’ famosi Spike Jonze, Michel Gondry, Anton Corbijn, David Fincher…o tutti quelli dei bellissimi video anni 80 e 90. O designer come il mio preferito David Carson, che ha curato tra le altre cose tutte le copertine dei Nine inch Nails. O registi di titoli di testa dei film, mia grande passione. O direttori della fotografia come Vittorio Storaro.
Grazie ancora Francesca e buon lavoro.
Grazie a te e a Indie for bunnies per avermi ospitata.