Il 23 febbraio 1999 (25 anni fa oramai), usciva “Clarity” il miglior disco dei Jimmy Eat World per chi scrive. Semplicemente un disco capace di emozionare. Negli anni ’90, tanti sono stati i dischi che hanno inciso veramente, altri hanno brillato di una luce momentanea,  con fiamme che sono durate un attimo, altri ancora sono stati album di cui innamorarsi ma poi con il tempo hanno perso il loro fascino. “Clarity” appartiene al primo gruppo, quello dei   lavori che hanno fatto storia: il battito del cuore non ha mai smesso di accelerare, ad ogni ascolto. Emo, power-pop, indie-rock? L’etichetta in questo caso non fa la differenza. I dischi vincono se si crea l’empatia, se a un certo punto senti proprio il bisogno di risentire l’intera tracklist, se ascolti una canzone e te la senti addosso, come un vestito. Jim Adkins riuscì, nel lontano febbraio del 1999 a colpire il profondo dell’anima di ogni ascoltatore.

Erano già  noti i Jimmy per un album precedente, ma, pur con buoni riscontri non avevano ancora inciso a dovere. Poi arrivò “Clarity”, album perfetto sotto tutti i punti di vista, a partire da un sound scintillante ma capace anche di sporcarsi le mani (che Dio benedica Mark Trombino!), proseguendo per dei testi perfettamente a fuoco nel descrivere relazioni personali senza scadere nel patetico o nel superficiale, concludendo con un songwriting che riesce, con canzoni tutte potenziali singoli, a toccare le corde più sensibili tanto quanto bruciare di passione rock.

Ci si aspetterebbe l’apertura con il piede sull’acceleratore e invece ecco “Table For Glasses”. Una partenza triste, sofferta, di quelle che colpiscono. Quelle armonie vocali, la chitarra compassata. Era come sentirsi dire: “Entrate in questo mood, non abbiate paura“. Jim Adkins prendeva per mano l’ascoltatore, annullandone possibili timori. Subito dopo, ecco il tripudio power-pop di “Lucky Denver Mint”, con ritornello da mandare a memoria. Gli estremi che si toccano, già  con i primi due pezzi, il cerchio magico in cui i Jimmy Eat World delineano i confini: “Your New Aesthetic”,   brano rabbioso, carico, cattivo è simbolo di chitarre soniche che troveranno altri appigli in “Crush”, molto pop-punk (e qui i Jimmy hanno fatto scuola), “Blister” e la ruvida “Clarity”. Bene o male tutte le canzoni più “tirate” dei Jimmy, negli album a venire, seguiranno questo stile.

Accanto a questi brani abbiamo però l’altro estremo, il lato più malinconico, da pelle d’oca: “12.23.95” o “A Sunday” lasciano senza fiato, aria così pura e cristallina che si fa fatica a respirare, per l’ossigeno troppo rarefatto, mentre con “For Me This Is Heaven” bisogna solo prendere atto di trovarsi di fronte a qualcosa di memorabile, qualcosa che dopo il primo ascolto non si scorderà  mai più.

I punti altissimi di questo disco stanno nelle canzoni più lunghe, ovvero “Just Watch The Fireworks” e il 16 minuti di “Goodbye Sky Harbor”. Il primo brano citato incorpora una partenza morbida per poi prendere sempre più vigore e carica: da antologia l’uso degli archi, che non appesantiscono o rendono inutilmente epico il pezzo, ma gli danno la giusta completezza. “Goodbye Sky Arbor” esige un  totale abbandono, un lasciarsi andare alla deriva, chiudendo gli occhi, lasciandosi trasportare da quei suoni di chitarra ripetuti come onde e le lacrime si mescoleranno all’acqua salata, tornare indietro sarà  impossibile…

Jimmy Eat World “Clarity”

Released: February 23, 1999
Recorded: 1998″“1999
Studio: Sound City and Clear Lake Audio (Los Angeles)
Length: 64:22
Label: Capitol
Producer: Mark Trombino

1.Table for Glasses
2.Lucky Denver Mint
3.Your New Aesthetic
4.Believe in What You Want
5.A Sunday
6.Crush
7.12.23.95
8.Ten
9.Just Watch the Fireworks
10.For Me This Is Heaven
11.Blister
12.Clarity
13.Goodbye Sky Harbor