L’anima combattiva di Nadine Shah emerge pienamente nel suo nuovo album, “Filthy Underneath”. Quarantanove minuti e trentasette secondi di vita vissuta senza filtri né inibizioni, creati in stretta collaborazione con Ben Hillier che segue Nadine fin dagli esordi, abile come sempre a trovare trame musicali che calzano alla perfezione e raccontano i momenti duri, i fantasmi, le sconfitte e le vittorie.
Il basso trascinante, i fiati, l’elettronica di “Even Light” sono un inizio sorprendente e trasgressivo, su cui la voce della Shah dà il meglio di sé tra falsetti, virtuosismi e ricchi toni jazz. Aggressiva e melodica è invece “Topless Mother”, uno dei singoli di “Filthy Underneath”, mentre la riflessiva e orientaleggiante “Food for Fuel” ricorda alcuni brani di “Fast Food” con un arrangiamento tagliente e d’effetto.
Minimal e conturbante l’accompagnamento di “You Drive, I Shoot” lascia ancora una volta ampio spazio alla voce che qui diventa ipnotica e noir in netto contrasto con il successivo “Keeping Score” dove il pianoforte si fonde all’elettronica e Nadine Shah rivolge la sua attenzione al mondo che va a fuoco, con un’impostazione vocale soul e vibrante, angelica e sconsolata. Il rabbioso spoken word “Sad Lads Anonymous” chiude una tripletta di brani di gran livello, estremamente vari per composizione e indole.
“Greatest Dancer” è un’altra delle sorprese del disco, sfrenata ritmata e audace, si amalgama molto bene con “See My Girl” dolorosa riflessione sull’amicizia con sintetizzatori ed elettronica a brillare, si apre così la parte più personale di “Filthy Underneath” che culmina in “Twenty Things” ispirata dal periodo passato da Nadine in riabilitazione, che insieme al recente divorzio e alla morte della madre fa da sfondo all’album.
Il finale è tutto di “Hyperrealism” piccola sinfonia melodico – elettronica dove la Shah si esibisce in armonie vocali ricche di pathos e di una “French Exit” magnetica, dolorosa senza essere brutale, affronta un tema delicato (quello del tentato suicidio) con onestà. Dieci brani intensi che sono tra i più convincenti della carriera della musicista inglese che troviamo rigenerata e sicura di sé in un disco sofferto e riuscito.