Una delle uscite discografiche più interessanti di questo primo assaggio del 2024 è senz’altro quella targata SeinInlove, un progetto che ruota attorno alla carismatica figura di Camilla Ciminelli, artista poliedrica arrivata all’esordio come cantautrice dopo un percorso lungo e pieno di soddisfazioni ma anche piuttosto tortuoso a livello emotivo.
La prima volta che incrociammo il suo nome qui su Indie For Bunnies si era a luglio dell’estate scorsa e già i pareri positivi erano unanimi riguardo il singolo che ne anticipava le mosse: “Cosmica” infatti metteva in luce una forte personalità e delicate quanto sofisticate trame indie pop-rock.
La prova del nove, quella che doveva dare conferma del talento di questo gruppo (fondato dalla Ciminelli con il valente chitarrista Pierluca Proietti, col quale di fatto ha lavorato a tutti i pezzi, a cui in seguito si sono aggiunti il bassista Federico Pozzi, il batterista Strueia e da ultimo il chitarrista Alessandro Grande, tutti provenienti dalla Ciociaria) è arrivata provvidenziale con l’album “Hey you? Have you found God?”, che sin dal titolo fortemente evocativo colpisce per la profondità delle sue liriche e per la cura e l’amore con cui vengono proiettate verso l’ascoltatore, oltre che per un apparato melodico di prim’ordine.
Non mancano riferimenti “alti” nelle parole della Nostra, i cui interessi per la filosofia e la mitologia greca riecheggiano fino a diventarne parte integrante, con l’effetto di “mascherare” situazioni di vita che hanno finito per segnare l’esistenza di chi canta.
Il disco diventa quindi un contenitore pieno di emozioni da far veicolare mediante brani che seguendo un invisibile filo conduttore possano condurre la protagonista a chiudere una pagina per aprirne un’altra, che però dopo un bagliore accecante di luce la porterà a fare i conti con una tappa buia ma estremamente potente della propria esistenza, fino a metterla davanti a nuove amare consapevolezze dalle quali però uscire più forte.
Partendo dagli insegnamenti del filosofo tedesco Martin Heidegger sull’esserci (da qui si è preso spunto per il nome della band, Sein significa essere, InLove completa la dicitura esplicando quindi quanto sia la relazione amorosa in tutte le sue sfaccettature il tema portante dell’opera), ogni canzone va a scandagliare la sfera intimista, con la musica e le armonie che assecondano gli umori e i cambiamenti in seno ad essa.
Si rimane così sospesi in una bolla, che può avvolgerti come nella dolce-amara “Laica”, scuoterti come in “Toronto Raptors”, dove emerge un fragoroso sound chitarristico, o farti vibrare l’anima nell’eterea “HQ_Cordially Cursed”.
In un mondo discografico dove emergono spesso e volentieri prodotti a tavolino e senz’anima, la risposta che possano esistere ancora album pieni di sentimenti e di vita vissuta come “Hey you? Have you found God?” risulta confortante come una goccia nel deserto. Fossimo nell’apposita rubrica dedicata alle recensioni il mio voto non scenderebbe sotto l’8.
Abbiamo voluto saperne di più sulla genesi di questo disco, sulle circostanze che lo hanno animato, e per questo abbiamo scambiato piacevolmente qualche chiacchiera con l’autrice Camilla Ciminelli.
Buongiorno Camilla, inizio complimentandomi per la riuscita di un disco che ha saputo mantenere le attese date dai primi singoli ascoltati. Si percepisce tanta autenticità e direi pure padronanza assoluta della “materia”, al punto che si fa fatica a immaginare questo come il tuo esordio. Il tuo percorso infatti parte da molto lontano, vero?
Grazie Gianni di questo rimando! Sì, il mio percorso parte da lontano e anche da tutt’altri territori, perché vengo dal mondo della lirica e pertanto da un modo totalmente differente di concepire il canto stesso. Per arrivare a ciò che stai ascoltando ora ho dovuto proprio destrutturarmi a livello vocale, mutare pelle, lavorare tanto fino ad arrivare a qualcosa che soddisfacesse in primis me stessa. Nella lirica tu interpreti, entri nei personaggi, ti esprimi con lingue diverse, cantavo con estrema naturalezza anche in tedesco. Come cantautrice ho dovuto proprio ricostruirmi, perché avevo un’altra impostazione. Si può dire che abbia imparato tramite anche gli ascolti e la passione per artiste come Joni Mitchell, Ani Di Franco, Sharon Van Etten, Laura Marling. Prima di esordire in queste nuove vesti ho studiato un nuovo approccio, e ancora sono alla ricerca in fondo di una forma espressiva che mi rispecchi pienamente, per essere sempre più credibile.
Queste canzoni, a cui appunto sei arrivata dopo un cambiamento stilistico, mi sembra che rappresentino però prima di tutto un cambiamento interiore, una sorta di passaggio da un’esistenza all’altra. Come sono nate e come si sono sviluppate le varie tracce che compongono il lavoro?
Assolutamente sì, hai centrato il punto. Scrivere queste canzoni ha significato proprio espellere tante sensazioni ed emozioni che si erano sedimentate da una relazione d’amore finita per aprirsi poi a una nuova vita, fatta di sentimenti veri, pieni, autentici. Ma anche qui poi si è andati a sbattere contro la realtà, dura e inappellabile, e pertanto i brani hanno preso una piega decisamente diversa, finendo per descrivere quello che stavo vivendo sulla pelle. Tuttavia, per quanto alla fine il disco parli di una magnifica e terribile storia d’amore per i risvolti che ha avuto su di me, non ho voluto spingere sull’autobiografismo ma piuttosto dare dei rimandi, traendo spunto anche dalla mitologia, in modo che ognuno poi interpretasse in maniera personale. Il disco è stato realizzato in piena sinergia con Pierluca Proietti, un chitarrista eccezionale, che conosco dai tempi del liceo e che avevo ritrovato dopo tanti anni, ma è nato principalmente da me, da una mia urgenza. Eravamo ai tempi della pandemia, i primi pezzi sono stati scritti tra il 2019 e il 2020 e altre circostanze hanno fatto sì che si arrivasse a registrare in due periodi diversi negli anni a seguire. Io ho scritto testi e melodie, lui si è occupato principalmente delle armonie, e poi insieme abbiamo impostato le parti, strutturando i brani. Un modus operandi che di sicuro ha dato i suoi frutti musicalmente, ma sfiancante emotivamente – e questa è un’altra storia… Ora stiamo lavorando su dei pezzi nuovi anche con grande collaborazione di tutta la band dei bravissimi musicisti con cui ho la fortuna di suonare.
Ripercorrendo la tua storia che parte da esperienze come la lirica e il teatro, quand’è che hai sentito l’esigenza di provare altre strade, più personali?
A livello di canto come detto avevo esperienza esclusivamente nella lirica ma a ciò va aggiunta la fase importante legata al teatro di ricerca, alternativo, che opera su approcci esperienziali differenti; penso alla mia collaborazione con la compagnia Sineglossa per RomaEuropa Festival, per anni fare l’attrice teatrale mi ha dato modo di sperimentarmi in più ambiti, compreso quello musicale ovviamente. Importante per me è stato anche lo studio con il regista napoletano Giancarlo Sepe, in particolare il suo lavoro di drammaturgia musicale: insomma, la musica ha sempre fatto parte di me, la studiavo, la insegnavo, la trasmettevo agli altri, ma non l’avevo mai affrontata direttamente per parlare di me, del mio vissuto.
Avevo delle ritrosie, delle paure che mi impedivano di farlo ma poi la vita spesso ti da’ le risposte che cerchi e ti mette davanti a delle situazioni che inevitabilmente ti portano a riflettere.
E nel mio caso lo scoprire che non potevo avere figli è stato il fattore scatenante che mi ha fatto svoltare e capire che non era più tempo per eludere la musica, dovevo giocoforza prendere quel “mostro” e affrontarlo a viso aperto, domarlo e infine sfruttarlo in modo positivo come forte mezzo espressivo, fino a che potesse rappresentarmi appieno. È stato in definitiva un percorso a tappe, dove certamente ha aiutato anche l’aver trovato una persona come Pierluca che mi spronava, mi sosteneva, mi accudiva con i suoi cambi armonici originali e commoventi: lui mi portava dei riff su cui provavo ad adattare ciò che avevo scritto, e così è nata, ad esempio, “Cosmica”, la prima canzone in assoluto che ho realizzato nel testo e nella melodia.
Erano tematiche quindi che spingevano per uscire oppure gli eventi e le situazioni che stavi vivendo hanno preso il sopravvento?
Alcune c’erano già dentro di me ma poi gli eventi hanno preso in effetti il sopravvento, e nel disco ci sono diversi excursus, in “Laica” ad esempio chiedo: “chi sei? In cosa credi? Dove stai andando?”; in un brano come “Cosmica” c’è il bisogno di allontanarsi da ciò che era prima, può essere l’amore ma anche la politica (ho fatto parte con enorme gioia del Teatro Valle Occupato e poi l’avvento dei Cinque Stelle mi aveva gelato), in ogni caso è stato un lasciare per poi prendere qualcosa di nuovo. E le riflessioni non mancano, vedi pure dei cenni quali “se io avessi saputo ascoltare avrei reagito in altro modo, non sarei morta… in questo modo ti maledico cortesemente” in “HQ_Cordially Cursed”.
Proprio questo brano indubbiamente mi aveva colpito, ci percepivo tanta forza emotiva ma non sapevo fosse così aderente alla realtà…
Il messaggio del disco è nascosto tra pieghe d’intelletto, ma ruota tanto attorno a me, alla mia vicenda, alla mia vita; quando ho capito che mediante la musica potevo trasfigurare sensazioni così forti e personali rendendole accessibili è stata una liberazione, alcuni brani sono nati proprio nel giro di una notte, o finiti il mattino dopo, penso ad esempio a “Toronto Raptors” o a “A Step Back”. Raccontano di un amore disperato finito malissimo, parte essenziale del progetto, utilizzando metafore legate alla pallacanestro.
L’album contiene otto canzoni, tutte salienti mi verrebbe da dire, senza riempitivi ma piuttosto con l’intento di creare un unicum, un filo conduttore a livello musicale ma anche di contenuti come mi stai dicendo. Traspare una forte sensibilità ed è predominante il tratto esistenzialista che deduco ispirato da Heidegger. Lui rappresenta un forte ascendente in modo diretto o più una suggestione che ricorre nei tuoi testi?
Sono laureata in architettura ma amo da sempre la filosofia, e in particolare sono stata attratta da Heidegger perché lui torna alla base, all’ontologia di Parmenide, ponendosi la domanda sull’essere che per me è illuminante e sempre attuale, con cui faccio costantemente i conti, un modus vivendi che contraddistingue il mio approccio nel vedere e intendere i rapporti. E se Sein significa come detto essere, lui si concentra sul Dasein, l’esserci, e la differenza anche se può sembrarci sottile, è invece sostanziale. Amo le sue opere, mi affascina la corrispondenza con Hannah Arendt, le loro “Lettere” per me sono una Bibbia, lì dentro è racchiuso il senso dell’esistenza, della relazione, della sincerità e quindi dell’amore stesso perché quest’ultimo aspetto ne è un tratto essenziale, dominante. Lui dicendo addio all’amata-amante non potendole dare una relazione fatta di libera condivisione, ha il coraggio di lasciarla augurandole una vita fatta di ricerca scientifica dell’esistenza nel senso più fecondo e denso del termine.
Come nasce il titolo del disco che già lascia presagire, se non tratti spirituali, per lo meno che ci si troverà di fronte a un’opera profonda e significativa?
Il titolo è nato in modo fortuito e allo stesso tempo illuminante. Mi è arrivato in un sogno, il mio ex compagno mi aveva fulminata con la domanda secca: “Ma tu hai mai trovato Dio?”. Io, onestamente a tutt’oggi potrei rispondermi in un solo modo, ovvero che ho trovato una mia identità artistica scrivendo con la mia voce, ma Dio è continuamente sfuggente nonostante sia dentro ognuno di noi. Anyway… a livello emotivo ne sono uscita completamene devastata, e dovessi tornare indietro non so se sarei disposta a superare quello che è stato un vero tsunami interiore.
Pensando a definire questo album e al suo linguaggio, il primo aggettivo che mi viene in mente è allegorico, sei d’accordo?
Mi fa piacere tu dica questo perché l’allegoria è la figura retorica che preferisco e che sento più mia nel momento in cui provo a mettere nero su bianco i pensieri. E l’album in effetti è pieno di riferimenti alla mitologia, regno allegorico per eccellenza. In “Lover’s Wall” cito indirettamente un’opera fondamentale per me stessa e la mia formazione come l’Ars Amatoria di Ovidio; altrove invece ci sono richiami a Carver, sono autori che ormai fanno parte di me. Per una canzone come “CF2″, acronimo che sta per “Comunismo per due”, ho letto dei filosofi slavi contemporanei, e nel testo, complicatissimo, parlo tra le altre cose della lotta di piazza come strumento ancora valido per reinventare spazi e relazioni autentiche. Possono sembrare sforzi intellettuali ma è tutto vero, è un bisogno naturale che ho quello di seguire certe mie inclinazioni personali.
Mi pare di capire che siano cose connaturate in te, e che con queste canzoni tu voglia darci una fotografia reale di te stessa, comunicando il tuo modo di intendere la vita.
Sì, perché poi si torna sempre, scavando dentro i pezzi, a raccontare qualcosa di me: in “Laica” per esempio lei dice “spererei di non essere comunista ma vorrei essere atea”, ma poi in “CF2″ trova Dio nell’amore, nella relazione a due che non è più solo quella di coppia ordinaria, ma la relazione di libera condivisione e crescita con l’altro, aprendo nuovi spazi sul mondo uno all’altro. E un po’ il rimando è anche alle prime teorie sulle coppie aperte di Lenin e Aleksandra Kollontaj.
Nulla è lasciato al caso quindi, a partire dalla copertina, che sembra un dipinto?
Può sembrare strano ma è così, ogni aspetto di questo progetto, ogni suo dettaglio ha un senso, e niente è come dici tu lasciato al caso, compresa la copertina che non è un dipinto ma una foto originaria di Strueia che poi ho ritagliato ed elaborato ed è finita per ritrarre due persone che proseguono distanti, ignari l’uno dell’altra.
Riuscire a replicare in futuro una cosa così autentica come quella confluita in questo disco sarà difficile, lo ammetto, perché è proprio per il suo carattere di autenticità che SeinInlove funziona. Ora la mia situazione personale è diversa, ma in compenso c’è più consapevolezza e autocoscienza forse da esprimere.
Mi stai dicendo che il progetto continuerà a evolversi coincidendo con un altro cambiamento di vita?
Non so se sarà necessariamente così, anche perché dentro queste canzoni mi sono svuotata del tutto ed è stato salvifico ma anche faticoso. Di certo sento di affermare che cambieranno i contenuti ma non andrà mai smarrita la mia ricerca musicale, vorrei sperimentare diverse sonorità e linguaggi. Sto suonando molto la chitarra in questo periodo, alfine di ultimare dei pezzi nuovi che stanno approdando altrove, sia a livello musicale che narrativo. Ed è prematuro sapere oggi come si evolverà il progetto. Ora sono concentrata su questo disco, con una band con cui musicalmente mi trovo benissimo, e per il momento per me è importante sapere che potrò sempre contare sulla musica come forte mezzo comunicativo.
A proposito di mezzo comunicativo, mi ha colpito il chiodo che campeggia nel logo della band, che significato bisogna attribuirgli?
Il chiodo nel nome è una figura altamente simbolica perché funge da tentativo di mettere un punto all’esistenza, decidere in pratica se essere o esserci. E io alla fine la scelta l’ho fatta, si tratta di un percorso interiore come la protagonista di “Lover’s Wall” che dice all’amato, prima in maniera svenevole: “sarò dietro gli angoli quando vorrai…. Cercarmi dentro le tasche, sarò il tuo miele… le cose leggere seducono ma sto bruciando…”, per finire però con “tu continuami a cercare, io sarò in giro”… Insomma, non sarà più lì pronta ad aspettarlo.
In “Sacrilege” invece arrivo a concludere: “è proprio strano questo amore, questo mulino bianco con le pale rotte… tu non mi inseguirai mai ma non ho perso la mia occasione di correre” che credo sia una frase che contiene un po’ il senso dell’opera, dove si assiste a una vera evoluzione.
Tu ti esprimi con molta naturalezza in lingua inglese ma non pensi che tematiche simili se scritte in italiano potrebbero raggiungere un pubblico più generalista? Oppure potrebbe essere valorizzato con riconoscimenti maggiori in contesti particolari, penso alla musica d’autore. E’una cosa a cui stai pensando per il futuro?
Capisco cosa intendi ma per ora la scelta dell’inglese è venuta da sé per tutta una serie di fattori. Di sicuro se parliamo di aspetti tecnici, l’utilizzo dell’inglese mi facilita dal punto di vista puramente metrico ma non solo. Credo sia più semplice scrivere in inglese in particolare quando mi ritrovo ad esprimere alcuni concetti. Ci sono dei vocaboli, infatti, che in italiano non suonano bene inseriti in una canzone; in un mio brano utilizzo una similitudine che tradotta in italiano verrebbe: “tu mi hai spento come un microonde” …, ecco, così non si può sentire, mentre in inglese rende benissimo.
A me piace inserire nelle liriche dei contesti quotidiani, le piccole azioni di tutti i giorni e in italiano si perderebbe il senso evocativo rimanendo troppo su un piano letterale. Viceversa alcuni temi perdono profondità se scritti in inglese rispetto alla nostra lingua, quindi la mia non è una preclusione totale all’italiano ma al momento non sono ancora pronta. Qui torna ancora il discorso dell’impostazione lirica e come mi sento io quindi a cantare in italiano, legata a quel mondo. Così capita che i testi li scriva in origine in italiano ma poi cerco di adattarli all’inglese quando so che quasi tutti fanno il contrario! In effetti cantando in italiano si aprirebbe forse una strada diversa, ma in fondo quello che sto facendo, anche se è una cosa ancora “piccola”, per me è già enorme, e non ho mai pensato a un pubblico di riferimento, più o meno grande. Però so dove voglio arrivare, tipo suonare in 2-3 Festival che dico io mi piacerebbe tanto, oppure all’estero. Quando parto non ho reti di protezione, metto tutta me stessa negli obiettivi.
All’inizio dell’intervista hai citato alcune grandi artiste, io ci sento dentro anche un bel retaggio nineties, tipo PJ Harvey, visto che come me anche tu hai vissuto in presa diretta quel periodo. All’epoca però impegnata com’eri nella lirica pensavi che un giorno saresti stata sopra un palco per fare del rock? Anche i tuoi ascolti andavano in certe direzioni?
Per me sono tutte grandi sfide quelle che sto affrontando, non ho mai pensato che un giorno la mia vita artistica potesse diventare quello che è adesso, cioè io e la mia band a suonare canzoni mie.
Ora posso provare a far confluire nella mia arte tante cose che fanno parte del mio background, questa parte creativa a ben pensarci l’ho sempre avuta. In un nuovo brano, che avrei tanta voglia di farti ascoltare, i riferimenti spaziano da David Bowie a Orwell a Wim Wenders! E sarà un’assurdità ma ti dirò che PJ Harvey in realtà l’ho ascoltata pochissimo anche se magari alcune scintille si istillano in maniera inconsapevole in quello che fai, è la magia della musica no?
Ad ogni modo amo le atmosfere slowcore di artisti come i Red House Painters, i Karate, le cantautrici che ho citato prima, mentre i miei ascolti dell’epoca andavano dal grunge agli U2 (che ho amato fino a “Zooropa”), dai Police ai Sigur Ros che ho visto live più volte. Ora ho una venerazione per Bon Iver, per me assolutamente intoccabile, un artista che seguo nel suo percorso musicale e con cui trovo tante affinità anche intellettive – tanto da pensare di sposarlo un giorno… (amo prendermi in giro, ovviamente)
La scelta di abbandonare la lirica immagino sia stata dolorosa ma a un certo punto è stata necessaria?
Lo è diventata perché ho sentito l’esigenza di trovare una strada che fosse mia, nella quale riconoscermi per quello che ho da dire, che ho dentro di me. Abbandonare la lirica mi ha permesso di non essere una sola interprete, era una cosa che mi stava strettissima ormai, e quindi ritengo una grande conquista, al di là dell’essere all’inizio di una nuova fase artistica, il fatto di potermi scrivere le canzoni.
L’essere diventata una cantautrice è una chiusura del cerchio e l’inizio della ricerca di quella che è la mia identità. Quindi il prossimo imminente passo, prima ancora dei grandi propositi, deve essere quello di imparare a suonare sempre meglio chitarra e pianoforte, voglio partire da qui per scrivere le mie nuove cose.
Beh, vista la tua determinazione mi sembra un obiettivo assolutamente percorribile. Nel salutarti, ti chiedo nel frattempo come i SeinInlove intendono promuovere questo bellissimo esordio discografico?
Siamo molto impegnati su questo fronte, tra ospitate in radio, eventi, interviste, ma l’intento è quello di fare più date possibili, portando la nostra musica sui palchi, luogo dove veramente sprigioniamo un’energia che magari su disco è stata un po’ contenuta ma che è presente in ogni episodio.