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Tra i dischi più interessanti e accattivanti di questo inizio 2024 non possiamo non citare “Fairweather Friend” dei The Umbrellas che si staglia imperioso e travolgente nel panorama indie guitar-pop. Con soli due album la band è già un punto di riferimento assoluto per il jangle-pop e le sue svariate colorazioni e la nuova uscita conferma quanto di buono (non certo poco!) era emerso con l’esordio omonimo del 2021. Non potevamo lasciarci scappare una chiacchierata con i ragazzi di San Francisco, che hanno risposto in modo collettivo e molto cordiale alle nostre domande.

L’intervista, nella sua forma originale, è contenuta sul numero 522, febbraio 2024, di Rockerilla


Allora, che emozioni vi da questa nuova uscita?
Siamo super eccitati per l’uscita del disco. Abbiamo iniziato a registrarlo proprio quando siamo tornati a casa dal nostro tour nel Regno Unito nel novembre del 2022 e pensa che ci sono alcune canzoni che risalgono al 2020.

Sono passati due anni dal vostro favoloso debutto. Quando avete iniziato a pensare, in modo concreto, a questo secondo disco e quali erano le vostre idee? C’erano cose che volevate assolutamente fare in modo diverso rispetto al debutto?
Beh, c’è voluto un po’ di tempo per rimettersi insieme dopo la pandemia, ma con tutto quel tempo per lavorare sulle canzoni c’erano un sacco di idee che fluttuavano in giro per le nostre teste, pronte per essere ampliate. Ma in realtà abbiamo iniziato a pensare a questo disco già quando stavamo registrando e promuovendo il primo e probabilmente sarà sempre così il nostro metodo di lavoro. Registrare è un’esperienza molto stimolante (e pure frustrante, a volte). Per quanto riguarda le differenze intenzionali tra i due dischi, questo voleva incarnare il nostro suono dal vivo più di quanto non facesse l’altro. Per fortuna registriamo in autonomia, quindi abbiamo molta libertà e possibilità di controllo sul suono. Eravamo stanchi che la gente dicesse: “Wow, siete molto più rumorosi di quanto pensassi!“.

Allora missione compiuta: i suoni sono diventati più pieni, più corposi e anche le chitarre sono più grintose. Posso dire che avete guadagnato in energia ma, nello stesso tempo, non avete perso la capacità di scrivere melodie favolose e orecchiabili. Forse era questo il vero obiettivo del nuovo album?
Oh, certo. Era uno degli obiettivi principali. Volevamo proprio espandere la nostra scelta timbrica e diversificare le nostre intenzioni nel comporre canzoni come band. Penso ci siamo riusciti.

Ma da dove nasce l’assalto punk di “Toe The Line”? È una canzone che, dal vivo, farà impazzire il pubblico…
Siamo una band punk, nel nostro cuore.

Prima parlavo di melodia, ci sono un paio di canzoni che amo e che brillano subito, fin dal primo ascolto: “Three Cheers!” e “Gone”. È vero che la prima potrebbe quasi essere definita una delle vostre canzoni politiche? “Gone” mi colpisce perché mi fa venire in mente i primi Delgados. Avete dei modelli di riferimento che, di tanto in tanto, volete raggiungere o a cui sentite di assomigliare?
“Three Cheers!” è un brano che potremmo definire pseudo-politico e può essere interpretato come si vuole, considerando le strutture di potere. “Gone” è la nostra canzone power pop per eccellenza. Abbiamo molti modelli di riferimento e con alcuni di loro abbiamo avuto la fortuna di condividere lo stesso palco. Molti di loro non ci sono più. Alcuni sono degli emeriti stronzi. Quando scriviamo le canzoni facciamo riferimento a un sacco di band del passato. Ma ovviamente cerchiamo anche di fare (bene) le nostre cose in una miriade di modi.

Il suono della batteria in questo disco è davvero molto importante. Posso dire che in una canzone come “When You Find Out”, ad esempio, sento che è stato fatto un lavoro ritmico favoloso? Credi anche tu che la batteria abbia una marcia in più in questo album?
Assolutamente sì! Volevamo onorare e mettere in evidenza la personalità di Keith come batterista, provando diverse tecniche di approccio alla batteria durante la registrazione, fino a trovare qualcosa che suonasse bene. Mentre il resto della band scrive gli hook in forma di voce/chitarra/basso, Keith si inserisce alla grande sul ritmo.

In un disco così energico, tuttavia, non mancano i momenti più tranquilli. Penso alla dolcezza di “Echoes” ma anche al momento acustico di “Blue”. Quest’ultima ha una melodia così delicata. È sempre stato chiaro che avrebbe avuto un arrangiamento acustico?
Sì, “Blue” è nata come ballata acustica nel primo memo vocale inviato alla band da Matt. Dato l’arrangiamento e la necessità di avere una canzone più tranquilla nel disco, abbiamo trovato perfettamente adatto che la voce di Keith fluttuasse sopra le chitarre acustiche e classiche a 12 corde e vari strati di armonie.

Ovviamente non posso non citare “Say What You Mean” con il suo bellissimo arrangiamento di archi. Come è nata l’idea di realizzare una canzone così ambiziosa?

I McCarthy sono stati di grande ispirazione per questa canzone. Volevamo creare qualcosa di ampio e grandioso. La viola si è aggiunta naturalmente, perché è innatamente orchestrale, diciamo così.

Che bella “PM”, è la conclusione perfetta di un disco bellissimo. Vi viene da ridere se all’inizio del brano, appena parte la chitarra, ogni volta penso ai Cure?
Ah! Sì, ma certo, abbiamo capito, ricorda un po’ “Boys Don’t Cry”…il che, ehi, non è affatto una cosa negativa.

Grazie ancora per la vostra gentilezza, ragazzi. Posso concludere l’intervista con le mie ultime curiosità? La prima riguarda le immagini della copertina. Da dove sono state prese?

Certo Riccardo. Grazie ancora a te per averci invitato a chiacchierare. Per quanto riguarda la tua domanda, tutto nasce dal fatto che Morgan scatta molte foto in pellicola e ha chiesto alla band un parere su quali fossero le location da fotografare in città, in base alle aree che rappresentavano qualcosa per ciascun membro. Amiamo la zona del Wharf e l’aspetto delle vecchie funivie classiche. Keith ha un’affinità con gli orologi del centro…tutti noi amiamo il Vesuvio Cafe a North Beach. Secondo noi, sono luoghi bellissimi della città che rappresentano ciò che rende San Francisco così unica e speciale per noi.

Posso dire che mi dispiace un po’ non vedere la vostra canzone “Write It In The Sky” nel disco? Adoro quella canzone, è forse una delle più belle che voi abbiate mai scritto. Ho il 7″, tuttavia speravo di vederla anche nel nuovo album. Se un giorno riuscirò a vedervi dal vivo, mi piacerebbe trovare “Write It In The Sky” e “I’ll Never Understand”, la b-side, nella scaletta!
Queste due canzoni sono sicuramente dei punti fermi della nostra scaletta! Di solito concludiamo i nostri live proprio con queste due canzoni, perché sono proprio fatte l’una per l’altra. Probabilmente è per questo che le abbiamo lasciate così e non le abbiamo incluse in questo disco; il formato 7″ con a-side e b-side ci sembrava perfetto. Forse, presto, potresti riuscire a sentirle dal vivo, non in Italia, ma…a Parigi…attenzione, attenzione: la data è il 16 marzo!

Resterò con gli occhi aperti! Assolutamente! Ultima cosa. Nel frattempo, augurandovi allora buona fortuna per il tour nel Regno Unito a marzo, sperando a questo punto in nuove date, mi piacerebbe sapere quali sono stati i vostri album preferiti nel 2023.
Certo Riccardo, speriamo di vederci presto. Per quanto riguarda i nostri dischi preferiti dell’anno scorso te li elenchiamo con piacere. Matt ha gradito quello dei The Lemon Twigs, “Everything in Harmony”, Nick dice Milford Graves e la sua ristampa di “Bäbi”, mentre Morgan sceglie The Tubs con “Dead Meat”. Chiudiamo con Keith che incorona i Seablite con il disco “Lemon Lights”.